Piermario Morosini e quel 14 aprile 2012
«I defibrillatori c’erano. Non furono usati»

Una testimonianza, basata principalmente sui filmati, che ripercorre in modo preciso e didascalico i terribili istanti della morte di Piermario Morosini, il giovane bergamasco (di Monterosso) calciatore del Livorno, morto per un malore, sul campo di Pescara, il 14 aprile 2012.

La morte poteva essere evitata? È quello che sta cercando di definire il processo, in corso a Pescara, che vede imputati per omicidio colposo i medici del Pescara, Ernesto Sabatini, del Livorno, Manlio Porcellini e del 118 di Pescara, Vito Molfese.

Questo il racconto di Leila Di Giulio (dirigente della Digos e vice questore aggiunto a Pescara) che il 14 aprile 2012, quando morì in campo il giocatore amaranto Piermario Morosini era in servizio presso lo stadio Adriatico, in occasione di Pescara-Livorno: «In campo c’erano due defibrillatori gestiti da Croce Rossa e Misericordia. Un terzo defibrillatore era a bordo dell’ambulanza sopraggiunta in seguito».

Il vice questore ha spiegato che «dopo circa un minuto dalla caduta del giocatore, Porcellini (il medico del Livorno, ndr) ha iniziato le manovre sul corpo di Morosini e ha effettuato un massaggio cardiaco, mentre dopo due minuti e 40 secondi è arrivata in campo l’ambulanza».

Il procedimento ruota attorno alla perizia dei consulenti nominati dal Gip, nella quale si sostiene che i tre medici «dovevano usare il defibrillatore semi-automatico disponibile quel giorno allo stadio». Il Pescara Calcio, la Asl di Pescara e l’Associazione Sportiva Livorno sono state citate in giudizio come responsabili civili, ma la società livornese è stata estromessa dal processo, nel corso della scorsa udienza, in quanto non aveva avuto la possibilità di partecipare all’incidente probatorio. L’autopsia ha accertato che il decesso venne causato da un arresto cardiaco dovuto ad una cardiomiopatia aritmogena.

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