Previdenza, 650 mila persone
in pensione da oltre 38 anni

Sono 3,5 milioni coloro che percepiscono l’assegno da più di 26 anni. Allarme di Itinerari previdenziali: gran parte non sono coperti dai contributi.

In Italia ci sono oltre 650.000 persone che percepiscono una pensione di vecchiaia, invalidità previdenziali o ai superstiti da oltre 38 anni, ovvero risalente a prima della fine del 1980. Secondo i dati pubblicati dall’Inps e elaborati da una ricerca di Itinerari previdenziali, circa 280.000 sono vecchie prestazioni di invalidità previdenziale mentre 373.000 sono pensioni in capo a persone che hanno smesso di lavorare (o che hanno preso quella del coniuge deceduto) quando al potere in Urss c’era Breznev e Reagan non era ancora diventato presidente degli Stati Uniti. Le pensioni erogate dal settore privato da prima della fine del 1980 sono 585.860 con un età media al momento della decorrenza della pensione di 43,5 anni (chiaramente sono rimasti in vita coloro che l’anno percepita in età più giovane). Se si guarda alle pensioni ai superstiti l’età media alla decorrenza per il privato è di 39,6 anni mentre per la vecchiaia è di 54,3.

Per il pubblico sono in vigore da oltre 38 anni 66.827 pensioni. Nello studio si rileva che ci sono 3,5 milioni di pensioni pagate da oltre 26 anni, un dato che - spiega il presidente di Itinerari previdenziali, Alberto Brambilla - deve far riflettere dato che intorno alla metà degli anni ’90, quando queste prestazioni sono state liquidate, la durata media della contribuzione reale (esclusa quella figurativa) era di circa 32 anni per l’anzianità e di poco più di 20 anni per la vecchiaia. «Gran parte di queste pensioni - spiega Brambilla - non sono state pagate dai contributi. Bisogna stare attenti quando si parla di Quota 100 e di Ape sociale. Si rischia di ritrovarsi davanti a problemi che l’Italia ha già vissuto».

I dati risentono delle regole per l’accesso alla pensione precedenti la riforma Amato (1992), della possibilità di uscita con la vecchiaia a 55 anni per le donne (60 gli uomini), dell’anzianità nel privato con 35 anni di contributi a qualsiasi età e soprattutto con le regole generose per il pensionamento nel pubblico impiego ( 14 anni sei mesi e un giorno per le donne con figli dipendenti dello Stato). Dall’elaborazione di Itinerari previdenziali emerge comunque nel 2018 la riduzione del numero dei pensionati (a 16 milioni) e l’aumento del numero dei lavoratori attivi (23,2 milioni) e il conseguente aumento del rapporto tra attivi e pensionati che toccando l’1,45 registra il record negli ultimi 22 anni. Se dai 16.004.503 pensionati si sottraggono i titolari di assegni e pensioni sociali, pensioni di guerra e percettori di prestazioni di invalidità e indennità di accompagnamento (3.723.945 persone) totalmente o parzialmente assistiti e circa 280.000 pensioni indennitarie, per un totale di 4 milioni - spiega la ricerca - «il rapporto attivi pensionati vero, cioè pensionati previdenziali su lavoratori attivi che versano i contributi, passa da 1,45 a 1,94. Il rapporto è particolarmente sfavorevole per i lavoratori agricoli con un solo attivo ogni tre pensionati mentre è molto positivo per i liberi professionisti con 3,24 attivi per ogni pensionato. Per i dipendenti del settore privato il rapporto si attesta a 1,594 mentre per i pubblici il valore scende a 1,144.

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