Respinta la richiesta di scarcerazione
Salvagni: «Bossetti non ci sperava»

La decisione martedì mattina intorno alle 11.40: respinta la richiesta di scarcerazione dalla Corte richiesta dagli avvocati della difesa: Massimo Bossetti resta in carcere.

Gli otto giudici hanno trascorso il pomeriggio di lunedì e la mattina di martedì impegnati in una lunga camera di consiglio. La Corte d’Assise è stata chiamata nuovamente a esprimersi su un’istanza di scarcerazione (la seconda a processo già avviato, la nona se si considerano anche le fasi precedenti) presentata dalla difesa di Massimo Bossetti. Una mossa un po’ a sorpresa, giunta nell’ultima udienza prima dello stop natalizio. La riserva dei giudici è stata sciolta a breve e intorno alle 11.40 di martedì 22 dicembre è arrivata la decisione di non scarcerazione del muratore di Mapello.

La decisione della Corte, secondo quanto si è appreso, è stata motivata dal presunto pericolo di reiterazione del reato che, secondo i giudici, non verrebbe scongiurato dai soli arresti domiciliari con braccialetto elettronico. Inoltre avrebbero pesato i precedenti pronunciamenti della Cassazione sempre in riferimento alle precedenti richieste.

«Pensiamo che sia giunto il momento di chiederlo – aveva esordito uno dei legali del muratore accusato del delitto di Yara, l’avvocato Paolo Camporini, lunedì mattina in Tribunale – alla luce di quanto successo finora in dibattimento, dato che il quadro ora è più ampio per poter valutare. Non ne facciamo una questione di gravità indiziaria, la cui valutazione spetterà alla Corte, ma di sussistenza delle esigenze cautelari».

In linea generale la custodia in carcere viene disposta quando, con il presupposto della gravità indiziaria (per Bossetti pesa il Dna), sussiste almeno uno tra i pericoli di fuga, inquinamento probatorio o di reiterazione del reato. Proprio quest’ultima è l’esigenza cautelare che tiene Bossetti in cella, sin dalla decisione del gip Ezia Maccora dopo l’interrogatorio di convalida del fermo (19 giugno 2014), confermata di fatto per altre 7 volte tra Riesame, Cassazione e la stessa Corte d’Assise, che aveva negato i domiciliari all’imputato respingendo un’istanza che faceva leva su asserite (ma ritenute infondate)tendenze autolesionistiche del muratore all’interno della casa circondariale.

Nel caso di Bossetti, il supposto pericolo di reiterazione del reato deriva dalla gravità del fatto di cui è accusato. «Non può essere così – ha sostenuto lunedì Camporini – dopo l’entrata in vigore della legge 47 del 2015 che insiste proprio sul punto, disponendo che non si può ancorare la misura cautelare alla sola gravità del fatto contestato. Viene ribadito che il carcere deve essere l’estrema ratio e che è prevista la possibilità dei domiciliari con il braccialetto elettronico. Il giudice deve motivare il perché tiene in carcere una persona anziché concedere i domiciliari». Quanto al pericolo di reiterazione, Camporini ha esemplificato: «Non tutti gli omicidi sono uguali: chi ha ucciso la moglie, ad esempio, non può reiterare». E Bossetti? «L’imputato, se messo a casa con moglie, figli e braccialetto elettronico, non potrebbe ripetere alcun reato», ha affermato il legale, che poi ha ricordato il tempo già trascorso in cella da Bossetti, la sua incensuratezza, il suo stile di vita: «Su 3.500 contatti telefonici emersi dai tabulati prima e dopo i fatti contestati – ha detto Camporini – 2.500 risultano avvenuti mentre era a casa sua. Non è mai scappato in 4 anni prima dell’arresto. Inoltre è diventato una delle persone più note d’Italia: dove mai potrebbe andare?». E infine: «In questo caso vittima e imputato sono in due mondi diversi: quindi anche in caso di domiciliari non entrerebbero in contatto».

Negativo il parere del pm Letizia Ruggeri: «Nulla è cambiato rispetto alle esigenze cautelari così come sono state valutate nelle precedenti otto decisioni, tutte contro la scarcerazione. La nuova legge? L’ultimo pronunciamento della Cassazione è successivo all’emanazione, quindi la Suprema Corte ne ha giù tenuto conto. Il pericolo di reiterazione non è stato valutato in astratto ma in concreto, sullo specifico fatto contestato e sullo specifico imputato. Bossetti conduceva una vita monacale tutta casa e lavoro? Bene, questo non gli ha impedito di commettere il reato in imputazione. Il tempo già trascorso in carcere? Diciotto mesi sono pochi rispetto alla gravità del fatto contestato».

Ancor più duro, e un po’ a sorpresa se paragonato ai toni pacati che hanno sempre contraddistinto la parte, l’intervento di uno dei legali dei genitori di Yara, l’avvocato Enrico Pelillo: «Concordo con le osservazioni del pm – ha esordito lunedì – e a questo punto penso che una parola la debba dire anche chi rappresenta la parte civile. Penso che si sia avanzata un’istanza che vuole sfruttare il clima natalizio e ora capisco perché l’imputato ha parlato solo ora, mentre era rimasto impassibile quando furono mostrate le immagini della vittima. Sono rimasto sconvolto – ha sottolineato Pelillo – quando ho sentito dire che per l’imputato c’è “solo” il pericolo di reiterazione del reato. Se è vero che di moglie ce n’è una sola (citando l’esempio precedente di Camporini, ndr) di tredicenni in giro ce ne sono tante. Mi dispiace – ha aggiunto Pelillo – che il riserbo e il pudore dei Gambirasio vengano male interpretati. È vero, l’imputato e Yara sono in due mondi diversi: perché il primo è vivo e la bambina è al Creatore».

Sulla decisione della Corte, il commento dell’avvocato Salvagni: «Se non fosse stato un processo mediatico quale è, Bossetti sarebbe stato libero da un pezzo. Un po’ ci speravamo, non so ancora la reazione di Massimo Bossetti: è possibile che neppure lui ci facesse tanto affidamento».

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