Ricciardi: «La pandemia non è ancora finita, ma nessun lockdown in vista»

Per Walter Ricciardi, consigliere del ministro della Salute Roberto Speranza, lo scenario non è ottimale. «Avanti con comportamenti responsabili e vaccini».

La strada è ancora lunga. Perché la pandemia è ancora tale e lo resterà certamente fino al 2023. Ma almeno stavolta l’Italia non sta sbandando. «Nella sua gestione siamo sul podio». Parola del professor Walter Ricciardi, già presidente dell’Istituto superiore di sanità e attuale consigliere del ministro della Salute Roberto Speranza.

Uno che solo all’inizio di quest’ anno, nonostante la sua posizione, qualche critica, nemmeno troppo velata, alle scelte in atto non l’aveva risparmiata e, soprattutto, prospettava un orizzonte decisamente cupo. Ora invece i toni sono più distesi. E di fronte a uno scenario moderatamente critico, con i contagi e l’Rt in ripresa un po’ ovunque, proprio partendo dal lavoro fatto con la campagna vaccinale e a patto di proseguire sulla stessa strada, di catastrofi non ne vede. Qualche restrizione sì, per intenderci, ma niente lockdown.

Professor Ricciardi, l’Italia sta ancora benino, ma l’impressione - e il timore - che tutti hanno, considerata l’evoluzione della pandemia a livello europeo, è quella di essere «circondati»: riusciremo a mantenere questo cordone sanitario? E come?

«Stiamo un po’ meglio, però dobbiamo stare attenti perché comunque lo scenario non è ottimale: ci sono ancora milioni di persone scoperte dal punto di vista vaccinale e molti altri per cui la protezione sta pian piano scemando con l’esigenza quindi di una terza dose. Dobbiamo ampliare la copertura nel primo caso e rivaccinare nel secondo, senza trascurare naturalmente le regole imposte dal Green pass. Se faremo bene queste cose staremo sicuramente meglio e passeremo un Natale relativamente tranquillo. Se invece allenteremo la guardia ci troveremo in difficoltà veramente. Dipende molto da noi, dai nostri comportamenti. La stragrande maggioranza degli italiani da questo punto di vista è esemplare; c’è però ancora un nocciolo duro, di indecisi che mantiene la circolazione del virus alta».

Come ci si raffronta con queste persone: c’è ancora margine di convincimento o , col senno di poi, sarebbe stato meglio imporre l’obbligo vaccinale?

«L’obbligo vaccinale è una misura estrema e francamente date le condizioni, con una copertura vicina al 90%, anche inutile. Ciò che si può fare invece è adottare strategie di nudging (ovvero strategie di spinta comportamentale, ndr) come ad esempio eliminare la possibilità di ottenere il Green pass col tampone, puntando solo sulla guarigione e sulla vaccinazione. Rappresenterebbe un forte strumento per andare verso una copertura ancora maggiore, così come ugualmente utile risulterebbe un maggior coinvolgimento nella campagna dei medici di medici generale: proprio loro infatti, conoscendo quali pazienti non sono ancora coperti, potrebbero chiamarli uno a uno e convincerli».

Ma come mai, dopo la fiammata iniziale, durante la prima ondata, la coesione sociale che tanto servirebbe anche in questa fase, sembra essere venuta meno?

«In realtà non è proprio così, nel senso che il 90% degli italiani, e forse anche più, è tuttora consapevole che attraverso misure equilibrate quali appunto la vaccinazione e il Green pass si possa condurre una vita normale sia al lavoro che nel tempo libero. C’è una minoranza, che definirei molto rumorosa, a cui onestamente in Italia si concede uno spazio mediatico enorme. In nessun altro Paese al mondo è così. Il risultato è che quanti alzano la voce, pur essendo meno, vengono considerati dai mezzi di comunicazione molto di più rispetto a chi senza far troppo rumore ha imboccato la strada della normalità».

Leggi tutta l’intervista su L’Eco di Bergamo in edicola sabato 13 novembre .

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