Ristoratori sul Sentierone: siamo a terra
«Chiusura, tsunami per 13.562 lavoratori»

Dieci tovaglie apparecchiate con le stoviglie rovesciate. La protesta silenziosa di almeno 50 imprenditori del settore: «Stanchi di sentirci definire settore non essenziale. Siamo fondamentali per l’economia del Paese ma anche a livello sociale».

Il piatto piange. Sono 5.336 le imprese del mondo della ristorazione che da lunedì chiudono alle 18. Un’altra mazzata, dopo quella del lockdown di primavera, che rischia di diventare il colpo di grazia per molte realtà del settore. Ascom ha calcolato una perdita che oscilla tra i 430 e i 529 milioni di euro: tra il 26,5 e il 32,6% degli 1,6 miliardi di fatturato del 2019. Uno tsunami che rischia di travolgere i 13.562 dipendenti del settore, il 41% donne. Numeri spaventosi che danno la dimensione di una crisi che potrebbe rivelarsi irreversibile.

E mercoledì 28 ottobre dalle 11,30 alle 12,30 sul Sentierone una cinquantina di imprenditori del settore, vestiti rigorosamente di nero, seduti per terra, con le gambe incrociate, rigorosamente distanziati, hanno messo in scena una protesta silenziosa dal titolo emblematico: #siamoaterra. Ai loro piedi 10 tovaglie apparecchiate di tutto punto: piatti, stoviglie e cristalleria, ma tutto rovesciato. Nessuno slogan, urla, canti o vessilli, ma l’Inno di Mameli.

La manifestazione, organizzata dalla Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi di Confcommercio) e Ascom andrà in scena contemporaneamente in altre città italiane: oltre a Bergamo, Alessandria, Ancona, Aosta, Bari, Bologna, Cagliari, Catanzaro, Firenze, Genova, Mantova, Milano, Napoli, Perugia, Roma, Siracusa, Torino, Trento, Trieste, Venezia, Vercelli e Verona.

«Siamo a terra - ha detto durante la protesta Giorgio Beltrami, Fipe Bergamo -: Comprendiamo e siamo responsabili di fronte a una tragica emergenza sanitaria, subiamo da mesi la sconfortante definizione di attività non essenziali. Eppure tutte le attività economiche sono essenziali quando producono reddito, occupazione, servizi. E tutte le attività sono sicure se garantiscono le giuste regole e attuano i protocolli assegnati. E noi li abbiamo applicati, accollandoci spesso anche costi importanti e responsabilità spinose». Alla manifestazione hanno preso parte anche i rappresentanti delle istituzioni: il vicesindaco di Bergamo, Sergio Gandi, e l’assessore regionale Lara Magoni oltre a vari esponenti politici.

«La situazione è gravissima per il settore dei pubblici esercizi e della ristorazione – sottolinea il direttore di Ascom Confcommercio Bergamo, Oscar Fusini –, per questo vogliamo aderire con forza alla manifestazione promossa da Fipe per ricordare il valore economico e sociale del settore e chiedere alla politica un aiuto per non morire. Sarà una protesta silenziosa, ma a volte il silenzio e la dignità che traspare dai volti e dai comportamenti delle persone fa più rumore di qualsiasi protesta violenta».

«I pubblici esercizi meritano rispetto!» è la frase conclusiva del volantino Fipe e Ascom. Una denuncia che arriva dopo la decisione di chiudere bar e ristoranti dalle 18: provvedimento già preso a fine febbraio, seppure solo per i bar, e seguito poi da un lockdown generale che di fatto ha bloccato l’intero settore. Settore che nell’attesa di riaprire ha investito parecchio in termini di sicurezza, riducendo drasticamente la capienza per fare fronte agli obblighi di distanziamento, acquistando dispositivi di sanificazione e intensificando i controlli sia in fase d’ingresso che di gestione dei tavoli. Provvedimenti che hanno consentito di gestire in modo tutto sommato accettabile la stagione estiva dove si sono registrate presenze in crescita. Ovviamente non a livello degli anni precedenti ma comunque in crescita.

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