Rsa post covid, la ripresa c’è
Ma sono ancora 950 i posti letto liberi

Famiglie frenate dalle rigide regole anti Covid. I gestori: «Servono risorse mirate per salvare il settore».

Sette mesi dopo, le Rsa sono ancora una delle realtà più martoriate dall’epidemia. A Bergamo, più che altrove. Nella prima fase, quella clou, le case di riposo hanno subito lo strazio della perdita di migliaia di ospiti, contagiati dal virus. E oggi, a sette mesi di distanza dalla prima goccia di quello tsunami, le Rsa orobiche si stanno ancora leccando le ferite. Ferite anche e inevitabilmente economiche. Il settore è in leggera ripresa, ma è una ripresa tutta in salita.

I numeri

Se a fine lockdown nella galassia di case di riposo orobiche si contavano 1900 posti letto vuoti, al 21 settembre (data dell’ultima rilevazione) il dato è sceso a quota 950 letti ancora liberi. Con la previsione di poter arrivare alla saturazione dei posti non prima di un mese, fra la metà e la fine di ottobre, e a macchia di leopardo. Un’emorragia di ospiti – con conseguenze preoccupanti sui bilanci delle Rsa – che si sta cercando di contenere, ma non senza fatica e con tempi decisamente lunghi. Alla base di queste difficoltà una galassia di ragioni. «Per accogliere nuovi ospiti dobbiamo rispettare una serie di direttive regionali che impongo il tampone e l’isolamento di due settimane in struttura per gli anziani – spiega Cesare Maffeis, presidente dell’associazione Case di riposo bergamasche –. Non solo: dobbiamo tenere qualche posto libero per poter isolare eventuali ospiti contagiati. Misure che, com’è facile intuire, comportano un inevitabile rallentamento nell’inserimento nelle strutture che, in ogni caso, non occuperanno più tutti i posti a disposizione. Cosa che aggrava pesantemente i conti, già fragili, delle Rsa. Sull’inserimento pesa peraltro anche un altro fattore diventato ormai evidente: le famiglie stanno iniziando ad accusare i colpi della crisi, e succedono cose che non erano mai capitate: liste d’attesa cortissime e famiglie che rinunciano per problemi economici».

Le difficoltà economiche

Difficoltà che si riflettono sui bilanci delle case di riposo: bilanci che – già segnati pesantemente dai mancati introiti della fase clou, quando Regione ha imposto l’assoluto divieto di nuovi ricoveri da marzo fino a giugno – adesso s’aggravano per colpa di questa lenta ripresa, tutta in salita. «Abbiamo il timore che questo percorso tortuoso vada a ripercuotersi sui nostri ospiti – osserva Fabrizio Ondei, presidente di Uneba Bergamo -. Con le famiglie in difficoltà economica, stiamo assistendo ad un trasferimento di ospiti dalle Rsa con rette più onerose a quelle con rette meno costose. Temiamo inizi una sorta di lotta intestina al settore, che come risultato avrà una perdita di qualità del servizio. E la qualità è sempre stata il fiore all’occhiello delle case di riposo. Non possiamo fare deroghe su questo tema. Ci aspettiamo che le istituzioni inizino a sostenere concretamente il settore sociosanitario: un settore fino ad ora dimenticato, tanto che da inizio epidemia non abbiamo visto un solo intervento a nostro sostegno».

«Pregiudizi infondati»

Ad aggravare la situazione, un ulteriore fattore che complica e rallenta l’inserimento di nuovi ospiti: ed è un fattore difficile da scardinare. Si tratta di una sorta di pregiudizio e di timore che una parte della comunità ha maturato nei confronti delle Rsa, dopo aver assistito al dramma delle centinaia di ospiti morti contagiati nei mesi clou dell’epidemia. «Ma è un pregiudizio del tutto infondato – contesta Barbara Manzoni, presidente dell’associazione San Giuseppe –. Il virus è entrato nelle case di riposo come altrove, e ha colpito le nostre strutture perché estremamente aperte al territorio. Oggi le Rsa sono fra i posti più sicuri in assoluto: oltre ai controlli rigidissimi per l’inserimento degli ospiti, abbiamo dispositivi di protezione in abbondanza e garantiamo visite dall’esterno solo con le massime precauzioni». Per risollevare il settore in difficoltà, da settimane le strutture stanno chiedendo interventi mirati: interventi di sostegno che aiutino a recuperare le risorse perse durante i mesi di chiusura. «In realtà stiamo anche aspettando che il budget assegnato per il 2020 ci venga ufficialmente confermato in toto – precisa Manzoni -: e non abbiamo bisogno solo della conferma, ma di ricevere i fondi il prima possibile. Così come il settore ha estremo bisogno di essere risarcito per i mancati introiti dei mesi di chiusura: non abbiamo ricevuto aperture in questo senso, e a penalizzarci c’è il fatto che le nostre realtà vengono considerate alla stregua di un qualsiasi altro ente privato. Non lo siamo: le strutture sociosanitarie offrono un servizio pubblico di vitale importanza per il territorio lombardo».

Ats: «Tutela degli ospiti»

Dal canto suo Ats Bergamo assicura di stare lavorando con Regione Lombardia per dare una risposta concreta agli operatori del settore. «Stiamo osservando e monitorando i nuovi ingressi nelle Rsa, sulla base delle ultime disposizioni regionali – conferma il direttore sanitario di Ats Giuseppe Matozzo –. Disposizioni che prevedono la necessità di assicurare la ripresa delle attività con garanzia della massima tutela degli ospiti e degli operatori. Pertanto, gli ingressi avvengono nel rispetto rigoroso delle procedure di esecuzione di screening pre ingresso e di adeguato isolamento prima di una completa presa in carico nelle strutture. Il rientro degli ospiti non potrà raggiungere il massimo della capacità recettiva delle strutture in quanto le disposizioni prevedono di lasciare posti liberi in camere singole dedicate alla quarantena e all’isolamento».

«Famiglie prudenti»

Anche Ats osserva che, a rappresentare un ulteriore ostacolo all’ingresso di nuovi ospiti, c’è «un atteggiamento di prudenza da parte delle famiglie che, in questa fase, preferiscono tenere i loro cari a casa, perché consapevoli che nelle Rsa ci sono regole, disposte dalle normative, che limitano le visite dei parenti». Quanto al nodo economico l’Agenzia di tutela della Salute di Bergamo ricorda che Regione ha già assicurato che riconoscerà tutte «le attività Covid correlate effettuate dalle strutture sociosanitarie a partire dal 1 marzo 2020. Si tratta di un primo importante passo a sostegno dei gestori per le attività già erogate nella fase di emergenza. In merito alle attività di rendicontazione di tali attività – continua Ats – stiamo raccogliendo e trasmettendo agli uffici regionali osservazioni da parte dei gestori affinché vengano tenute in considerazione in fase definitiva di assegnazione delle risorse. Per questi aspetti, e per la stipula dei contratti definitivi, siamo in attesa di indicazioni da parte di Regione che sta lavorando su questi temi in modo prioritario».

© RIPRODUZIONE RISERVATA