Studentesse di Bergamo bloccate in Cina
Coronavirus, incerta la data di rientro

Sara Zucchi, 23 anni, è una delle studentesse bergamasche ancora presenti nel campus universitario di Nanchino dove si sono registrati decessi per il virus contagioso. Stop alle trasferte di lavoro per le aziende orobiche.

«Avevamo il volo Lufthansa per tornare in Italia lunedì (27 gennaio ndr), ma partiremo sabato (1 febbraio, ndr) con un volo Air China. Ci hanno consigliato di anticipare la partenza, potrebbero cancellare i voli. Qui si vive in un clima di allarme continuo». Sara Zucchi, 23 anni, è una delle studentesse bergamasche ancora presenti nel campus universitario di Nanchino dove si sono registrati decessi per il virus contagioso. Una speranza, quella del rientro anticipato, che si è infranta dopo la decisione del premier Conte, nella tarda serata di ieri, di chiudere il traffico aereo da e per la Cina.

Era tutto pronto per tornare a casa, il biglietto, il taxi per l’aeroporto per evitare la metropolitana, troppo rischiosa. Fino a ieri sera chi era in partenza da Nanchino non subiva controlli particolari, oltre la misurazione della temperatura corporea. Ora cambiano gli scenari. Sono ancora sei (su 11) gli studenti del corso di Laurea in Lingue per la comunicazione e la cooperazione internazionale dell’università di Bergamo presenti nel campus della città cinese dove si sono registrati decessi per il virus contagioso. Tanti i negozi chiusi, i servizi pubblici a singhiozzo e la corsa forsennata alla ricerca di mascherine salvavita. «Questa città non vive più – ha raccontato ieri Sara –. In questi giorni siamo uscite solo per fare la spesa, sempre con le mascherine, ormai introvabili. Abbiamo quelle con il filtro, le più sicure, e altre chirurgiche». Al campus l’obbligo di sottoporsi al controllo della temperatura. «È un protocollo deciso dal governo cinese per contenere il contagio, perché se riscontrano la febbre si finisce in ospedale per accertamenti. Abbiamo vissuto un’esperienza di sei mesi gratificante in questo Paese che però si conclude con tanta apprensione».

E giovedì 30 gennaio in tarda serata sono stati accertati i primi due casi di coronavirus anche in Italia. Lo ha annunciato il presidente del Consiglio Giuseppe Conte nel corso di una conferenza stampa. Sono due turisti cinesi originaria della provincia di Wuhan, arrivati a Malpensa il 23 gennaio, ora ricoverati in isolamento all’ospedale Spallanzani di Roma: sono definiti «in buone condizioni di salute». Il governo ha deciso di sospendere i voli aerei da e per la Cina. «Ci aspettavamo dei casi anche in Italia» ha aggiunto in conferenza stampa il ministro della salute Roberto Speranza, annunciando altre misure di prevenzione. Alle 10 di venerdì 31 gennaio è previsto un Consiglio dei ministri sulle misure per affrontare il virus. Nel frattempo gli ultimi voli previsti in arrivo dalla Cina e in ’schedulè prima della chiusura del traffico da e per il Paese sono atterrati all’aeroporto internazionale di Malpensa. Si tratta di due voli di Air China in arrivo da Pechino e Shangai e uno della Cathay Pacific.

L’epidemia di coronavirus è un’emergenza sanitaria mondiale. Dopo una prima fase di cautela, l’Oms ha certificato che il livello di attenzione massima ha oltrepassato i confini cinesi. Nel paese i numeri continuano a correre: l’ultimo bollettino è di 213 decessi totali e 2mila nuovi casi di contagio. Sono invece 1527 i pazienti in condizioni gravi in Cina. Anche in Europa è aumentato il numero delle persone infette che sale così a 14: cinque in Germania, sei in Francia, uno in Finlandia e due in Italia. In Sud Corea sono invece 11 i casi da Coronavirus confermati.

La Cina è sempre più isolata, dopo che la Russia che ha chiuso il confine orientale e altre compagnie aeree internazionali hanno interrotto i collegamenti. In un’ennesima giornata contrassegnata da nuovi contagi, vittime e paesi colpiti dal coronavirus, il direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus ha convocato una riunione d’emergenza dei suoi esperti a Ginevra. In conferenza stampa, ha lodato «gli standard di risposta» della Cina all’epidemia, che hanno consentito finora di circoscrivere i casi all’estero e senza al momento fare vittime. E tuttavia ha dichiarato «un’emergenza sanitaria globale». In Cina l’infezione è arrivata ovunque, toccando anche il Tibet. La maggior parte dei contagi resta concentrata nella provincia epicentro di Hubei dove quasi 1.400 persone sono gravi.

L’allerta globale per l’emergenza «coronavirus» in Cina impatta sull’industria bergamasca, anche se con effetti ancora tutti da capire. In prima linea, la filiera dell’automotive, oltre 200 imprese in diversi comparti e 15 mila addetti. «Parecchie le aziende bergamasche che in questi giorni hanno ricevuto dai clienti la richiesta di comprovare, con documenti specifici, l’assenza di difficoltà nell’assicurare il pieno rispetto delle consegne» conferma Paolo Rota, presidente del gruppo Materie plastiche e gomma di Confindustria Bergamo, e titolare di Italian Cable Company di Bolgare. Alla base il timore dei big dell’industria dell’auto che lo stretto cordone sanitario deciso dalle autorità cinesi per evitare il diffondersi del contagio, si trasformi in un muro invalicabile per le esportazioni del materiale prodotto in Cina con il rischio di fermare o rallentare la produzione in Europa. «Per ora da noi non ci sono grandi problemi a confermare e il rispetto delle commesse - prosegue Rota -. Sono poche le aziende bergamasche che si riforniscono sul mercato cinese, principalmente per l’acquisto di additivi per materie prime».

Tra le precauzioni già attivate dalle aziende bergamasche che hanno rapporti stretti con il colosso asiatico, anche lo stop dei viaggi dei dipendenti. «Abbiamo provveduto a cancellare le visite pianificate da parte dei nostri operatori commerciali nell’area» conferma Giorgio Donadoni, numero uno della Comac di Bonate Sotto. Brembo, in continuo contatto con i colleghi dei suoi stabilimenti a Nanchino (l’ultimo, 450 dipendenti, inaugurato l’aprile scorso) per monitorare la situazione, nei giorni scorsi ha spedito 7.000 mila mascherine dall’Italia e imposto il blocco delle trasferte di lavoro ancora prima della decisione di ieri sera del premier Conte di chiudere, in via precauzionale, il traffico aereo da e per la Cina.

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