«Un errore riaprire le scuole ora»
Galli, il calo dei contagi va consolidato

L’infettivologo Galli: «La Lombardia è ancora la regione con il maggior numero di nuovi casi. Rischioso far muovere i ragazzi, si aspetti gennaio».

Riaprire le scuole prima di Natale? Un errore che il Paese non si può permettere, non almeno in queste condizioni, perché rischierebbe di creare i presupposti per una terza ondata della pandemia. Il pensiero di Massimo Galli, direttore del Reparto di Malattie Infettive dell’ospedale Sacco di Milano, è chiaro: prima di riaprire è bene che i numeri della diffusione del contagio scendano ancora.

Professor Galli, la Lombardia va verso una «promozione» in zona arancione. Secondo lei ci sono le condizioni per questo passaggio?

«La Lombardia continua ad avere il più alto numero di nuove infezioni riscontrate in tutta Italia, e questo nonostante il miglioramento dei dati. Ritengo che certi risultati debbano quindi essere consolidati, prima di eventuali nuove aperture. Riaprire con il timore di nuove chiusure, non credo che favorisca la soluzione del problema».

L’affluenza dei ragazzi sui mezzi pubblici rappresenta il pericolo maggiore legato alla riapertura delle scuole. È d’accordo?

«Sì. La movimentazione delle persone prima e dopo l’accesso in classe è senz’altro un elemento di importanza fondamentale. È vero, come obietta qualcuno, che i ragazzi sono comunque in giro anche se lasciati a casa da scuola. Però è chiaro che il doversi recare tutti quanti in uno stesso punto e dover poi tornare tutti insieme, costituisce un elemento di aggregazione decisamente peggiore. Ma questa è una riflessione che non ha bisogno di grandi conferme scientifiche».

Questo vale, secondo lei, solo per grandi città come Milano, o anche per centri più piccoli, come Bergamo?

«I dati disponibili in letteratura dicono che riprendere attività che generano l’aggregazione di più di 10 persone in condizioni di epidemia ancora in atto, comporta il rischio di un aumento del 25% dell’Rt nell’ambito di 28 giorni. È vero che questi numeri riguardano una modellazione su 131 Paesi con situazioni e realtà molto diverse tra loro, ma mi permetto di dire che tutta questa fretta avrà pure un significato simbolico, una motivazione politica, ma personalmente mi lascia assai perplesso e timoroso».

Riaprire le scuole, così come le attività commerciali, non è però solo una questione politica o simbolica, ma anche un’esigenza sociale ed economica.

«Certamente sì, tuttavia non penso che i continui avanti e indietro facciano bene all’economia. Se il Governo fosse stato un po’ più attento, consapevole e responsabile questa estate, adesso non ci troveremmo in questa situazione e verosimilmente non rischieremmo di trovarci ancora in queste condizioni anche in futuro».

Lei crede che le responsabilità vadano cercate solo a livello politico? Se tutti avessero seguito i consigli dei medici sui comportamenti da adottare per prevenire il contagio, forse non saremmo arrivati a questo punto.

«Certo i cittadini sono persone che hanno una testa e che dovrebbero sapersi regolare anche da soli, ma se i responsabili politici e amministrativi non danno le disposizioni corrette o non le fanno applicare, oppure prendono decisioni in costante contraddizione tra di loro, i cittadini si sentono autorizzati a non essere così attenti».

Tornando alle scuole, secondo lei quando dovrebbero riaprire?

«Chiaramente a gennaio, se le cose potranno essere gestite in maniera corretta. Mandare i ragazzi a scuola a dicembre, facilitare una nuova diffusione dell’infezione, per poi tenerli a casa per le vacanze di Natale e rimandarli in classe nel momento in cui quelle infezioni andranno a ritrasmettersi, che senso ha? Non l’avessimo già fatto con il teatrino del 13-14 settembre, per le elezioni...».

Lei pensa che tenere chiuse le scuole sia l’unico modo per scongiurare la terza ondata?

«È una delle tante cose che andrebbero fatte, perché così come questa estate non è stata colpa solo delle discoteche - che pure hanno rappresentato un segnale evidente di un “liberi tutti” - anche adesso dare altri segnali in contraddizione con i bisogni, è pericoloso».

Insomma, secondo lei sarebbe meglio mantenere le cose come stanno fin dopo le feste?

«Sì, cercando di inventarsi qualcosa che dia un po’ di fiato ai negozianti».

Cosa, per esempio?

«Regolare gli orari di accesso dei negozi, organizzare nuove forme di apertura che permettano alle attività commerciali di lavorare senza favorire assembramenti».

Compresi i bar e i ristoranti?

«Serve mantenere almeno il divieto di girare la sera, non credo che esistano tante altre alternative in questo momento. E soprattutto serve che le regole siano rispettate davvero, perché purtroppo quando la gente mangia, la mascherina deve toglierla e se si parla a voce alta senza mascherina, la trasmissione del virus è possibile».

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