Un farmaco contro il coronavirus
Ecco su cosa lavora il «Mario Negri»

Bergamo, tra i territori più colpiti dal coronavirus potrebbe trovare proprio in casa la cura. La speranza arriva direttamente dall’Istituto Mario Negri di Bergamo che da alcune settimane ha allestito un laboratorio Covid di alta sicurezza.

Possono accedervi soltanto i ricercatori selezionati allo studio del virus e la vestizione prima di varcare quella porta blindata richiede tempo e massima attenzione. Sopra la tuta integrale il camice, cuffia, mascherina, guanti, occhiali, stivali fino alle ginocchia e soprascarpe. Immagini viste, fino ad un mese fa, soltanto in surreali film di fantascienza. Oggi fanno parte della nostra realtà.

La coordinatrice Ariela Benigni è prudente: «Nel nostro campo non si può essere assolutisti» ci dice, ma poi ci racconta quello che succede in quella stanza «sotto vuoto» in cui il virus viene studiato da vicino, molto da vicino. «Stiamo valutando quali alterazioni sono presenti nei tessuti dei pazienti affetti da Covid 19 e nello stesso tempo stiamo sperimentando i farmaci che lo possono contrastare».

L’analisi in corso è su dieci malati medio gravi, ritenuti un campione adeguato a dare le risposte che si stanno cercando. Il Negri di Bergamo, rispetto ad altri laboratori di ricerca parte con un vantaggio, un test unico al mondo messo a punto proprio a Bergamo nello studio di alcune patologie rare. In America hanno tentato di replicarlo, ma senza successo. Usando un linguaggio semplice, in sostanza il test ha una duplice funzione, quella di evidenziare l’alterazione di una cellula e nello stesso tempo offrire la risposta di uno o più farmaci in grado di stabilizzarla. In parole povere: guarirla.

L’attenzione dei ricercatori si sta concentrando su un medicinale in particolare, non in commercio nei canali delle farmacie, ma prodotto dalle multinazionali. Potrebbe rivelarsi efficace nella battaglia contro il virus. Nelle prossime ore il responso di alcune analisi potrebbe essere decisivo. È una corsa contro il tempo e i primissimi dati registrati nei giorni scorsi hanno generato tra gli scienziati del Negri un moderato ottimismo, ma è troppo presto per trarne le conclusioni.

Non manca molto però, questione di una, massimo due settimane e dal laboratorio al Kilometro rosso potrebbe uscire una proposta di cura in collaborazione con l’ospedale Papa Giovanni XXIII (con cui l’Istituto Negri ha da sempre condiviso le ricerche cliniche) per la sperimentazione diretta sul paziente e naturalmente al mondo intero. La dottoressa Benigni non si sbilancia ma nel suo sguardo tradisce emozione: « Si tratterebbe comunque di una prima risposta scientifica al coronavirus, ma la cura rappresenterebbe soltanto un ponte in attesa del vaccino». Nel laboratorio si lavora senza tregua , il fattore tempo è fondamentale per salvare vite umane. «Non voglio dare false speranze - conclude Ariela Benigni - ma i primi risultati ci stanno convincendo di essere sulla buona strada».

© RIPRODUZIONE RISERVATA