Un seme di speranza nella fatica del futuro
Il messaggio del vescovo per Pasqua

di Francesco Beschi, vescovo di Bergamo
Nel gergo popolare l’espressione “Alleluia” significa “Finalmente! Era ora!” Da cristiani, celebriamo la Pasqua proclamando: “Finalmente: è Risorto!”

Stiamo vivendo un tempo d’attesa ed ogni risposta appare tardiva, provvisoria e infine inadeguata. Insicurezza attende sicurezza, paura attende rassicurazione, disorientamento attende orizzonte, precarietà attende solidità, violenza attende protezione e poi infermità attende cura e guarigione, esclusione attende accoglienza, umiliazione attende riscatto, e ancora povertà attende solidarietà, disoccupazione attende lavoro, confusione attende verità, incertezza attende certezza, ingiustizia attende giustizia, devastazione attende ricostruzione, fame attende pane, guerra attende pace.

Così numerose sono le attese, così prolungato il tempo della risposta, così frequentemente attese sono disattese, da far lievitare rassegnazione e disperazione, risentimento e rabbia, paura ed egoismo. Al sentimento dell’attesa, subentra l’assillo della difesa: ci sentiamo aggrediti e dobbiamo difenderci, ci sentiamo impoveriti e dobbiamo difenderci, ci sentiamo impauriti e dobbiamo difenderci. “Per difenderci, per non soccombere in questa società sovracomunicata, disarticolata, dobbiamo crearci una piccola (o grande bolla, nella quale accomodarci” (N.Pagnoncelli in Ipsos Flair 2017). E quando le bolle rivelano le loro inevitabili fragilità, innalziamo muri, ritrovandoci alla fine prigionieri di noi stessi.

All’esterno di un sepolcro alla periferia di Gerusalemme, risuona un annuncio, una notizia esile, inattendibile e pur così pervicace: “E’ risorto”. Si è aperto un varco nel muro più impenetrabile, sono tagliate le radici della gramigna più invadente, è svuotato il potere della morte e di ogni mortificazione. A fronte della fatica di immaginare un futuro che non sia illusione e di non cedere alla condanna della consumazione del presente, fino alla nostra stessa consumazione, la fede dei cristiani introduce nella storia il seme di una speranza irriducibile: non è più l’ottimismo della volontà e nemmeno il disincanto del pragmatico, ma la generatività del seme, capace di un frutto insperato, nella misura in cui non si sottrae alla decisione dell’amore, della generosità, della gratuità, del sacrificio.

E’ il frutto di una rinascita resa possibile da una vita traboccante: una rinascita morale che scaturisce da una purificazione necessaria, ma soprattutto da una misericordia decisiva. Se il grembo di una donna è la postazione della nostra nascita, il cuore di ogni uomo è l’insostituibile luogo della sua rinascita. Se dal cuore dell’uomo escono le decisioni più inumane, dallo stesso cuore rinato possono uscire le scelte più umane.

E’ il frutto di una ritessitura di una convivenza sempre più lacerata: il tessuto delle relazioni familiari e poi di quelle comunitarie e sociali. Una ritessitura paziente, ostinata, che ha il ritmo della quotidianità. Cristiani e non cristiani impegnati ogni giorno a riprendere i fili di una realtà che non può essere solo somma di individui, ma comunità vivente e vitale, dove finalmente possiamo sentirci a casa, cominciando dai senza casa.

E’ il frutto di un rilancio, di un’iniziativa, che prima di risolversi in nuove e più numerose iniziative è atteggiamento interiore, interiore vitalità e fiducia, disponibilità a sostenere il prezzo della fatica e delle delusioni, riproponendosi non in uno sforzo estenuante, ma in uno sguardo sorridente.

“Alleluia! E’risorto finalmente!” Chi ci crede lo dica con la sua vita, così che chi non ci crede possa almeno esserne stupito.

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