Video di Bossetti, nuove polemiche
Stamattina si torna in aula

Nel video del fermo, girato dalle forze dell’ordine, lo si vede costretto a inginocchiarsi. Per motivi di sicurezza (poco prima, per chi indaga, aveva tentato la fuga), ma Massimo Bossetti in quei frammenti di immagine dà l'impressione di essere privato della dignità.

A pochi giorni dalla polemica sul filmato del furgone (il cui confezionamento ieri è stato stigmatizzato anche dall’Osservatorio informazione giudiziaria delle Camere penali), la sequenza della cattura torna nell’occhio del ciclone. La sua divulgazione è uno degli esempi citati nel documento con cui l’Unione delle camere penali italiane, elencando una serie di doglianze, annuncia l’astensione dalle udienze dal 30 novembre al 4 dicembre.

«Sempre più spesso la “rappresentazione” del processo anticipa il processo stesso - si legge -: immediata diffusione delle immagini degli arresti più clamorosi (Carminati, Bossetti, Anas...), puntuale diffusione dei materiali delle indagini preliminari dotati di particolare efficacia (audio delle intercettazioni, video ambientali...). Così facendo non solo si pubblicizza l’efficacia dell’azione delle Procure, ma si mostra il risultato dell’indagine come dato definitivo e indiscutibile». Le Camere penali ritengono che «occorre intervenire per evitare la spettacolarizzazione dei processi e l’alimentazione dei circuiti mediatici che finiscono per consegnare all’opinione pubblica giudizi preconfezionati, attraverso l’esibizione e la gogna degli arrestati».

Il video integrale del fermo è stato diffuso (senza placet ufficiali, quindi sottobanco) 10 mesi dopo i fatti e trasmesso in anteprima da Quarto Grado. Chi l’abbia divulgato non si sa. La Procura assicura che dai suoi uffici non è uscito e che era allegato al verbale di fermo a disposizione delle parti da subito. L’astensione riguarderà anche due udienze del processo Bossetti. «Io aderirò - conferma Andrea Pezzotta, uno dei legali della famiglia Gambirasio -, perché la ratio generale del documento, e cioè la condanna della spettacolarizzazione dei processi, è pienamente condivisibile. Detto questo, va aggiunto che gli aspetti deleteri del fenomeno riguardano anche gli avvocati che partecipano a certe trasmissioni televisive».

Intanto venerdì mattina si torna in aula con il processo Bossetti: al banco dei testimoni i biologi della polizia che, confrontando il cromosoma Y, scoprirono tra Ignoto 1 e il ceppo Guerinoni.

Sempre in tema di Dna, venerdì la difesa di Bossetti dovrà formalizzare le proprie richieste al Ris di Parma, riguardo al percorso scientifico seguito per l’individuazione del profilo genetico di Ignoto 1. La questione era stata sollevata dai legali e dal loro consulente scientifico, Marzio Capra, nella scorsa udienza, sulla scorta di un’analisi dei dati grezzi. Claudio Salvagni e Paolo Camporini avevano chiesto di poter conoscere nel dettaglio quante volte, per ogni singola traccia biologica da cui è stato estratto Ignoto 1, è stata effettuata in laboratorio l’amplificazione del Dna e quali «kit» in commercio sono stati utilizzati per farlo. La Corte presieduta dal giudice Antonella Bertoja aveva accolto la richiesta, anche se limitatamente alle tracce in cui è stato individuato il Dna fondamentale per la vicenda (la difesa chiedeva che il lavoro venisse fatto anche per il Dna dell’insegnante di ginnastica Silvia Brena, trovato sul giubbotto di Yara).

La questione è tutt’altro che secondaria: se riuscirà a leggere nelle risposte del Ris elementi in grado di mettere in discussione la validità scientifica del risultato, la difesa potrebbe provare a far traballare il quadro accusatorio del pm Letizia Ruggeri. Viceversa, se il lavoro dei Ris (fino ad ora non scalfito) dovesse superare indenne questa verifica, per il pool di Bossetti contestare l’elemento chiave del processo diventerebbe impresa ardua.

L’intento dei legali del muratore di Mapello è fare leva sul contenuto della sentenza di Cassazione sul delitto di Perugia, con cui gli imputati Raffaele Sollecito e Amanda Knox sono stati assolti in via definitiva anche perché la prova scientifica (in particolare il Dna trovato sul gancetto del reggiseno della vittima Meredith Kercher) non era stata validata da un numero sufficiente di ripetizioni in laboratorio.

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