«Volo alto pilotando un simulatore»
Paolo tiene il Parkinson a bassa quota

Fuori dall’aeroporto le persone si fermano a osservare affascinate le manovre di decollo e di atterraggio: nonni con i nipotini, giovani coppie di fidanzati, gruppi di ragazzi. Tutti con gli occhi puntati sulla pista e verso il cielo. Secondo Richard Bach, pilota e scrittore, «l’uomo che vola su un aeroplano deve credere nell’invisibile».

Di certo il volo cambia il punto d’osservazione sulla vita: dall’alto tutto assume un aspetto diverso. Così come da terra è facile soffrire di «nostalgia del cielo». Paolo Rota l’ha sperimentato in modo speciale da quando ha scoperto di essere malato di Parkinson e ha dovuto rinunciare a una delle sue più grandi passioni, le gite in motocicletta. In cambio, però, ha scoperto un altro modo di viaggiare che non gli pone limiti, perché può farlo senza allontanarsi da casa: un simulatore di volo, in inglese «flight simulator».

«Non è solo un videogame – chiarisce Paolo – viene usato anche nelle scuole di volo come allenamento per i piloti». All’inizio lui cercava soltanto un passatempo, si è ricordato di un gioco di volo che aveva condiviso con il figlio Rainer quando era piccolo, l’ha cercato su internet: «Era un simulatore di volo degli anni Novanta, semplice ma ben fatto, c’era il bombardiere americano B17, quello di Memphis Belle. Ho scoperto che quella versione non esiste più, in compenso ho trovato qualcos’altro, un nuovo mondo».

I primi sintomi della malattia si sono manifestati nel 2009, quando Paolo aveva sessant’anni: «Sentivo tremare la gamba sinistra – spiega – schiacciando la frizione dell’automobile. Ho pensato subito che potesse essere Parkinson. Sono andato a cercare notizie su internet e mi sono detto: ci sono. Così mi sono rivolto subito a un neurologo, un medico giovane che si è un po’ irritato, perché volevo farmi la diagnosi da solo». Gli esami, però, alla fine gli hanno dato ragione: «Non ne sono stato certamente contento, all’inizio è stata davvero molto dura. Quello che mi dispiaceva di più di quella diagnosi è che era definitiva, perché dalla malattia di Parkinson, purtroppo, non si guarisce. La strada quindi era tracciata».

Paolo Rota è un ingegnere meccanico: «Ho costruito centrali termoelettriche per tutta la vita. Un mestiere che mi piaceva, lo trovavo divertente e mi ha portato a viaggiare molto, in Arabia Saudita, Giordania, Marocco, Iran, Iraq, Egitto, Cina, Panama, Usa, Canada, Germania, Francia, Inghilterra, Danimarca, Svezia, Lituania».

Quando ha scoperto di essere ammalato era in pensione da due anni: «Non ho smesso subito di andare in moto. Mi tremava pochissimo la mano, solo quando ero fermo al semaforo, ma era un disturbo trascurabile. Non sono uno che si arrende facilmente. Ho continuato a condurre la vita di sempre fino al 2014. Poi, quando ho visto che non riuscivo più a coordinare bene mano e piede sinistro, ho dovuto per forza lasciare la mia Bmw r1100s in garage, con una grande tristezza nel cuore. Prima, però, ho fatto un viaggio d’addio, quasi duemila chilometri sulle Alpi Retiche, con mio figlio Rainer. Un bellissimo ricordo».

Dopo dieci anni di malattia le condizioni fisiche di Paolo sono più fragili, cambiano di giorno in giorno. L’addio alla motocicletta ha segnato l’inizio di un periodo critico: «C’è stato un po’ di sbandamento – sottolinea la moglie Paola –, mio marito stava davanti al computer tutto il giorno ed era un po’ depresso. Non era un momento facile neanche per me, ero molto impegnata con il lavoro, la mia attività artistica, figli e nipoti e avevo la sensazione di non riuscire a dedicargli abbastanza tempo».

La moglie di Paolo dipinge e prima di ammalarsi lui la aiutava a organizzare le mostre e a trasportare le sue opere: «Era divertente vivere queste esperienze insieme – sottolinea –, poi all’improvviso mi sono sentito inutile. Questa crisi depressiva si trascinava e a un certo punto abbiamo deciso di adottare un cane, un barboncino che si chiama Lucille». Paolo all’inizio era un po’ scettico ma dopo due mesi ha deciso di incominciare a portarla in giro per la sua passeggiata: «Incontriamo altri signori a spasso con i cani; è un modo simpatico per stringere nuove amicizie. Anche Lucille e io siamo diventati grandi amici, ci facciamo molta compagnia».

Poi è arrivata la passione per i simulatori di volo: «Quello in cui mi sono imbattuto è gratuito, open source, pur essendo di alto livello, usato per la formazione professionale nelle scuole di volo. Ogni utente si collega a un server comune, che permette di parlare con la torre di controllo e con altri che stanno volando nello stesso momento. Il simulatore ha la base su un satellite e il territorio del gioco è il mondo reale, c’è addirittura una connessione diretta con le previsioni meteorologiche. Così ho incominciato a volare in tutto il mondo». Paolo si è appassionato in particolare al volo in montagna: «Offre un’esperienza più interessante per un pilota, perché ci sono molte variazioni di altezza e le condizioni ambientali possono cambiare rapidamente». Anche attraverso questo gioco virtuale Paolo ha intrecciato nuovi contatti sociali: «Ho trovato molti nuovi amici di tutto il mondo. Nel gioco anche l’organizzazione delle attività di volo riproduce fedelmente la realtà, ci sono per esempio le compagnie aeree virtuali, mi sono iscritto a quella italiana. Si possono seguire corsi di pilotaggio, non è così facile imparare». Prima di cominciare Paolo non possedeva un brevetto: «Ho frequentato via internet alcune lezioni – racconta – per imparare le regole fondamentali. I trucchetti del mestiere spiegati dai piloti, la fonia, perché il simulatore riproduce tutti i rumori delle apparecchiature, la terminologia corretta da usare per comunicare con gli altri e con le torri di controllo».

Ogni tanto questi piloti virtuali organizzano incontri speciali, sia online sia dal vivo: «I raduni annuali online si chiamano “crowded sky”, “cieli affollati” e vi partecipano sino a 3.000 “flightsimmer” (piloti virtuali), connessi simultaneamente su di un server. Ma ci sono anche incontri reali che sono occasioni interessanti e divertenti, con qualche visita guidata agli aeroporti oppure conferenze sul tema del volo».

In passato Paolo aveva frequentato forum di viaggiatori e motociclisti: «Sono curioso e ho sempre apprezzato il lato positivo e socializzante di internet». Il simulatore permette di vedere dall’alto strade e luoghi ma in modo un po’ asettico, poco personalizzato, e questo ha stuzzicato la sua immaginazione: «Il modo del simulatore, il geoide e le curve di rilievo, sono basati sui rilievi fotogrammetrici effettuati nel 2006 dai satelliti della Nasa; ma le ambientazioni di default sono abbastanza ripetitive. Per questo gli utenti s’impegnano per creare scenografie più realistiche e particolareggiate, che rendono la finzione di volo più interessante. Tra i miei amici c’è per esempio chi si è dedicato a una ricostruzione meticolosa delle catene montuose in 3d. Ho voluto partecipare anch’io, così sono andato a cercare sul web un buon programma di grafica e ho incominciato a ricostruire virtualmente gli aeroporti e alcuni monumenti. Ognuno può caricare i nuovi elementi sul server e condividerli con gli altri. Mi sto impegnando a ricreare gli scorci più belli di Bergamo: le Mura, Piazza Vecchia, Sant’Agostino, Astino, per far conoscere le bellezze della mia città».

Il volo virtuale non è l’unico passatempo di Paolo, che ama molto stare in contatto con la natura, ammirare il paesaggio, esplorare posti nuovi: «Quando viaggiavo in moto mi portavo sempre in giro la macchina fotografica. È solo una passione, non mi sento particolarmente bravo – dice con modestia –. Sono sempre a caccia di posti interessanti. Mi piace, per esempio, passeggiare in Città Alta, a San Vigilio». Scatta bellissimi ritratti alle nipotine, ma la sua vera passione restano i paesaggi: cammina e fotografa per strada. E se le mani tremano un po’ c’è sempre un treppiede, un pilastro, un muretto, un tavolino, un palo che serve a fermare l’inquadratura.

Se la moto deve per forza restare nel box, Paolo comunque si sente abbastanza in forze da fare viaggi: «Negli ultimi anni siamo stati per due volte negli Stati Uniti, nell’ultimo abbiamo percorso in auto 12 mila chilometri. Ho incontrato luoghi davvero splendidi. Abbiamo documentato tutto pubblicando una specie di diario di viaggio su un blog, così potevano leggerlo anche i nostri amici rimasti a casa».

Da quando Paolo ha incontrato l’Associazione parkinsoniani di Bergamo ha superato la timidezza e ha affrontato un’altra esperienza nuova, entrando nel gruppo «Teatro e tremore»: «Chi l’avrebbe mai detto? Ho incominciato perfino a recitare». L’ha convinto la moglie Paola, che condivide quest’attività con lui: «Mio marito tende a rimuovere l’idea della malattia, mentre io cerco di sollecitarlo a prendersi cura di sé. Sulla recitazione eravamo entrambi un po’ scettici, ma abbiamo dovuto ricrederci, ci divertiamo moltissimo».

Nell’ultimo spettacolo Paolo è stato protagonista di un dialogo brillante con Giulio D’Adda, responsabile del gruppo, e di un monologo sui suoi viaggi in moto: «Mi piace molto recitare, anche se a volte dimentico le battute. In quello spettacolo abbiamo usato anche le mie foto».

La malattia ha cambiato profondamente la vita di Paolo: «Non è stato per forza un cambiamento negativo, anche se a volte molto difficile. Ho incontrato persone nuove, mi sono sentito spinto a rimettermi in gioco, ma così ho scoperto nuovi aspetti del mio carattere e a volte ho trovato risorse inaspettate. Guardo il mondo in modo diverso, ne apprezzo ancora di più la bellezza, ogni giorno con un senso di meraviglia». Proprio come diceva Richard Bach: «Non dar retta ai tuoi occhi e non credere a quello che vedi. Gli occhi vedono solo ciò che è limitato. Guarda col tuo intelletto e scopri quello che conosci già, allora imparerai come si vola».

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