«Yara, una vittima scelta a caso
Assassino senza freni inibitori»

Le motivazioni dei giudici che hanno rigettato la richiesta (la 9ª ) di scarcerazione di Bossetti.

Poco più di due pagine fitte di considerazioni, per il «no» numero nove alla scarcerazione di Massimo Bossetti. Dopo il gip (tre volte), il Riesame (due volte) e la Cassazione (altre due), questa volta la firma in calce al provvedimento di rigetto è della presidente della Corte d’Assise di Bergamo, Antonella Bertoja, del giudice a latere Ilaria Sanesi e dei sei giudici popolari. Gli otto giurati in questa fase si pronunciano solo per quanto riguarda gli aspetti relativi alla custodia cautelare, ma sono gli stessi che alla fine del processo dovranno emettere un verdetto nei confronti del muratore di Mapello, accusato di aver ucciso Yara Gambirasio.

La Corte d’Assise aveva già rigettato un’istanza di scarcerazione avanzata dalla difesa sulla base di asserite (ma ritenute infondate) intenzioni autolesionistiche dell’imputato in via Gleno. Ieri, invece, i giudici si sono pronunciati sul presunto pericolo di reiterazione del reato, che nel caso di Bossetti – sin dall’inizio – è desunto dalla gravità e dall’efferatezza del delitto contestato. «Non può essere così – aveva osservato lunedì in udienza uno dei difensori di Bossetti, Paolo Camporini – dopo l’entrata in vigore della legge 47 del 2015, che insiste proprio sul punto». Camporini aveva invocato per il suo assistito «gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico», perché «a casa con moglie e tre figli Bossetti non potrebbe ripetere alcun reato». Il pm Letizia Ruggeri aveva espresso parere negativo e uno dei legali della famiglia Gambirasio, Enrico Pelillo, aveva criticato l’istanza dei difensori di Bossetti, ritenendola volta a «sfruttare il clima natalizio». La decisione della Corte è giunta ieri in tarda mattinata, 24 ore dopo la presentazione dell’istanza.

Nel provvedimento i giudici ricordano che sul tema della custodia in carcere di Bossetti, dopo il (doppio) pronunciamento della Cassazione, si è formato un «giudicato cautelare». La giuria cita proprio l’ultima sentenza della Suprema Corte sul caso Bossetti per smontare le argomentazioni della difesa: «Alcuna incidenza sul giudicato può determinare la legge 47 del 2015, che non ha intaccato la presunzione di adeguatezza della custodia in carcere».

Quanto al fatto che il presunto pericolo di reiterazione del reato sia stato desunto solo dalla gravità intrinseca del fatto – come osservato dalla difesa – la Corte ribatte sostenendo che, al contrario, la valutazione è stata fatta non in astratto, ma nello specifico del caso Bossetti-Yara, elencando «una pluralità di elementi specifici (particolare efferatezza nell’esecuzione del delitto, casualità nella scelta della vittima, circostanze di tempo e di luogo) dai quali è stata desunta una mancanza di freni inibitori tale da rendere altamente probabile la reiterazione di condotte aggressive».

«Tale motivazione – si legge nel provvedimento – per ben due volte è stata ritenuta congrua dalla Suprema Corte; e questa Corte non ravvisa ragione per disattendere tale giudizio, stante la gravità non del delitto di omicidio in astratto, ma del delitto qui contestato, in relazione alle modalità esecutive della condotta (vittima attinta da una pluralità di colpi inferti con arma bianca e abbandonata agonizzante in un campo); alla persona della vittima, un’adolescente indifesa; alle condizioni di tempo e luogo (aggressione in orario serale, nel percorso della vittima verso casa); all’assenza di rapporti pregressi tra l’aggressore e la vittima».

Per la Corte «l’incensuratezza e la vita regolare dell’imputato non assumono rilevanza apprezzabile ai fini cautelari, come del resto il tempo trascorso tra fatto e applicazione della custodia e tra fatto e momento attuale, tempo nel quale non si è verificato alcun cambiamento nelle condizioni di vita e personali dell’imputato tanto da far ritenere che, a fronte di analoga pulsione aggressiva, interverrebbe oggi un miglior meccanismo di controllo». La difesa aveva citato i tabulati telefonici come prova della vita tutta casa e lavoro di Bossetti prima e dopo l’omicidio, ma per la Corte «non assumono rilievo alcuno ai fini cautelari». Infine, sugli arresti domiciliari: «Non sarebbero in grado di scongiurare – scrivono i giudici – il descritto pericolo di reiterazione con le stesse garanzie» offerte dalla misura del carcere. Bossetti dunque trascorrerà il suo secondo Natale in cella. In attesa della prossima udienza, l’8 gennaio.

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