Timothy Hunt a BergamoScienza:
tenete gli occhi aperti sul mondo

«La chiave è tenere gli occhi aperti e sperimentare. Adesso si usa molto il computer, naturalmente è uno strumento utilissimo, ma il cervello lo è ancora di più» Lo dice Timothy Hunt a BergamoScienza, Nobel per la medicina nel 2001.

Nel luglio del 1982 vongole e uova di ricci di mare erano la dieta scientifica quotidiana del biologo di Cambridge Tim Hunt, che stava lavorando sui meccanismi di controllo della sintesi delle proteine. Un esperimento per controllare se le proteine prodotte dopo la fertilizzazione delle uova erano le stesse prodotte dopo aver stimolato la partenogenesi, diede come risultato la scomparsa periodica di un enzima nelle cellule fertilizzate, aprendo la via alla scoperta delle cicline, una famiglia di proteine che attivano in successione i tempi del ciclo di divisione di una cellula.
Professor Hunt, le cicline sono una sorta di interruttore, quando si rompe la cellula perde la capacità di moltiplicarsi in modo normale?
«I meccanismi di controllo cellulare sono complessi, tuttavia le cicline hanno un ruolo fondamentale nella moltiplicazione delle cellule e da anni si studiano in rapporto anche alla formazione dei tumori, dove la cellula cancerosa si moltiplica senza limite».
Quali sono le nuove frontiere della ricerca sul cancro?
«Sto leggendo un bel libro, The emperor of all maladies, che è la storia di come il cancro è stato curato nella storia e rende chiari i progressi che sono stati fatti, soprattutto negli ultimi vent'anni. Ci sono così tanti tipi di cancro e così tanti meccanismi cellulari coinvolti che non possiamo certo dire che il problema sia risolto. I laboratori ora sequenziano il dna di molti tipi di cellule cancerose, è fantastico, perché noi non capiamo ancora bene come le mutazioni dei geni contribuiscano alla crescita dei tumori ed è importante cercare in questa direzione. In generale la strada per la cura è ancora lunga, ma in alcuni casi, certe leucemie per esempio, ci sono farmaci efficaci o sono possibili diagnosi precoci che rendono certi cancri curabili».
Che ricerche sta conducendo ora?
«Ho 68 anni, ho chiuso con il laboratorio, bisogna essere giovani per fare esperimenti. Quel che posso fare è dare un'occhiata a quelli degli altri».
Ai giovani ricercatori che consiglio dà?
«La chiave è tenere gli occhi aperti e sperimentare. Avvicinare la natura com'è. Adesso si usa molto il computer, naturalmente è uno strumento utilissimo, ma il cervello lo è ancora di più. E in biologia non puoi sapere cosa succederà, se non fai l'esperimento. Cervello e occhi. La risposta non salta fuori da sola, devi osservare, avere un'idea e poi sperimentare. È come col vino, non basta leggere l'etichetta, devi provarlo per sapere se è buono».
Lei ha la fama di pensatore indipendente.
«Subito prima di pensionarmi, mi sono interessato all'enzima che disfa la reazione innescata dalle cicline. In natura c'è un bilanciamento, qualcosa e il suo contrario, e occorre guardare in entrambe le direzioni. Noi invece tendiamo a fisssarci e questo innesca il pregiudizio scientifico. Per esempio, l'esperimento che ho fatto io con i ricci di mare poteva farlo chiunque, mi chiedo ancora perché nessuno ci avesse pensato».
Intuito?
«Dobbiamo capire che la scoperta scientifica è un viaggio senza fine. Fare lo scienziato è come passare la maggior parte del tempo immersi nella nebbia, poi si alza e vedi dove sei, tutto va a posto e fai un rapido progresso. La nebbia torna e ti perdi, e poi c'è di nuovo una piccola schiarita...si va avanti così e non si è mai finito, la buona ricerca apre più interrogativi di quanti ne chiuda».
Il lavoro scientifico si può davvero fare senza pregiudizi?
«C'è una sorta di integrità, di onestà dello scienziato che è difficile da raggiungere ma è essenziale. A volte abbiamo ipotesi giuste e a volte quasi giuste. E allora la natura dice "no!" e devi ammetterlo. Il fisico Schrodinger diceva che la scienza è un gioco, ma un gioco con la realtà, è divertente ma devi avere i piedi per terra, devi essere attento e focalizzato».
Che cosa ha provato quando ha trovato le cicline?
«Stavo lavorando già sulla divisione cellulare, per cui quando questo enzima è scomparso ho capito in fretta a che cosa poteva collegarsi. È stato meraviglioso essere l'unica persona al mondo a sapere... sono stato rituenuto un guru per molto tempo! In fondo era semplice, ma l'idea che qualcosa potesse sparire e ricomparire non era venuta in mente a nessuno, era qualcosa di eretico...certe idee ti rendono cieco a quello che succede. La divisione cellulare è la cosa più importante di tutta la biologia. Sono stato molto fortunato».
Magari bravo?
«Un pochino bravo, molto fortunato».
Suo padre era un medievalista ed esperto di manoscritti a Oxford. Questo background umanistico ha contato?
«Di sicuro, infatti ho preso una strada opposta! Seriamente, ho avuto insegnanti di scienza molto bravi e sono cresciuto nell'ombra della bomba atomica, poi c'è stato lo sputnik, si respirava l'ottimismo del futuro scientifico... Ho fatto il biologo perché ero troppo debole in matematica per fare il fisico. Invece avevo un feeling con la biologia e la chimica. Ero a Cambridge quando Crick ha scoperto il Dna e poi ho conosciuto Jim Watson. È stato un periodo eccitante».
A suo giudizio quali sono le piste più eccitanti che un ricercatore deve tener d'occhio oggi in biologia?
«Gli studi sulla capacità di riconvertire le cellule fino alle staminali. Ma anche come funzionano i sistemi viventi, che problemi devono risolvere. Oggi la gente guarda all'albero e non alla foresta, direi alle foglie dell'albero. Bisogna integrare tutta questa dettagliata tecnologia in uno schema più vasto. I meccanismi che presiedono alla normalità sono affascinanti. Perchè il tuo braccio è uguale all'altro? Perché raggiunta quella lunghezza si ferma? Perché siamo come siamo? Lo diamo per scontato, ma ci sono regolazioni molto fini che permettono questo. Non è chiaro neppure quando un embrione comincia a sviluppare un braccio. E come si fa un braccio? Cresce fuori? Le cellule si spostano? Il movimento delle cellule al microscopio sembra una folla che esce dal metro. Dove vanno? C'è un significato nel loro flusso ma non l'abbiamo ancora scoperto. Perché le cose restano se stesse? Ecco, adesso studierei questo».

Susanna Pesenti

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