Donizetti, Festival pianistico
La carrellata delle stelle di Orizio

«Cinquant'anni sono la storia di una vita: in casa, fin da quando ero piccolo, era impossibile non parlare di festival pianistico». I 50 anni del Festival pianistico internazionale per Pier Carlo Orizio, sono una vicenda familiare. Dal 2007 ne è direttore artistico.

«Cinquant'anni sono la storia di una vita: in casa, fin da quando ero piccolo, era impossibile non parlare di festival pianistico». I cinquant'anni del Festival pianistico internazionale per Pier Carlo Orizio, sono una vicenda familiare. Dal 2007 ne è direttore artistico, erede del padre Agostino, il fondatore, nel 1964, del festival come omaggio ad Arturo Benedetti Michelangeli.

Tanti anni significa tanti ricordi.
«A casa sono passati i più grandi pianisti: mi ricordo in particolare Arrau, Magaloff, Richter, oltre ovviamente a Michelangeli. Quando poi ho cominciato ad occuparmi di tutti gli aspetti, ho messo in pratica molti dei suggerimenti avuti da mio padre. È abbastanza ovvio, eppure se il Festival lo stiamo ancora facendo è perché il modello, l'impostazione si sono rivelati vincenti».

E l'aspetto tematico?
«Anche se quest'anno lo abbiamo abbandonato, direi che è stato determinante. Mi ricordo le difficoltà a realizzarlo, in particolare quello di Schumann. Lì l'importanza di avere interpreti come Demus o Magaloff fu fondamentale. Magaloff diceva a mio padre: "Lei vuole da me quello che gli altri non vogliono fare". Pianisti così oggi non ne esistono più. Oggi i grandi pianisti hanno uno-due repertori l'anno e da lì non ci si muove».

Chi ricorda in particolare di questi grandi artisti?
«Arrau. È stato il più grande gentiluomo che io abbia conosciuto, di una gentilezza più unica che rara. Dal vivo era ancora più grande che in disco. Allievo di un allievo di Liszt, aveva iniziato con l'integrale di Bach. Arrau usava ricevere gli appassionati per gli autografi, ancora in frak. Mi ricordo che in mezzo alla gente si era alzato a salutarmi, anche se ero solo un bambino di sei anni. Martha Argerich era un'artista grandissima, ma anche di forti contraddizioni».

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