Le memorie di Capovilla sul Papa:
un romanzo scritto con il cuore

Lo si legge d'un fiato, quasi fosse un romanzo. Sono «I miei anni con Papa Giovanni XXIII» (Rizzoli editore), i ricordi che monsignor Loris Capovilla ha scritto con don Ezio Bolis, il direttore della Fondazione che custodisce i documenti del Papa bergamasco.

Lo si legge d'un fiato, voracemente, quasi fosse un romanzo. Sono «I miei anni con Papa Giovanni XXIII» (Rizzoli editore), i ricordi che monsignor Loris Capovilla ha scritto insieme a don Ezio Bolis, il direttore della Fondazione che custodisce i documenti del Papa bergamasco.

Capovilla racconta, stavolta senza le reticenze che il suo ruolo ha molto spesso a lui suggerito, il fedele «contubernale», come ama definirsi. Ritorna spesso, questo termine, insieme dotto e minimalista: «compagno d'armi», anzitutto, ma anche «compagno di mensa, di lavoro». Di fronte al fascino di questi ricordi nasce una domanda semplice: perché queste memorie appassionano così? Da dove viene questa strana, indefinibile attrattiva?

Mi sembra, se mi è consentita una risposta che rischia di sfiorare la sfrontatezza, che questi ricordi hanno qualcosa del fascino della favole che incantano i bambini. Sì sì, lo so: queste non sono favole e non si parla di fate e di orchi. Vero. Ma tra quelle favole e queste memorie c'è un tratto in comune. Affascinano non perché raccontano qualcosa di sconosciuto, ma qualcosa di noto. I bambini conoscono benissimo le storie che si sentono raccontare, magari la sera, per addormentarsi. Le hanno sentite decine di volte, ma chiedono di sentirle ancora. Quei racconti hanno la funzione di acclimatare il mondo e quello che nel mondo avviene, la storia con le sue bizzarrie e i suoi drammi. Anzi: proprio perché quei racconti sono noti permettono di affrontare senza angosce l'ignoto.

In fondo le memorie di Papa Giovanni sono, in parte almeno, note. Monsignor Capovilla rivela, è vero, alcuni fatti non proprio notissimi o particolari poco noti di fatti per il resto già conosciuti. Ma il libro non dà l'impressione di voler essere soltanto una miniera di notizie per gli storici. Non fa storia: fa memoria. La quale serve alla storia, certo, ma non coincide con essa. Nel libro si trova troppo cuore, infatti, per essere soltanto storia.

Leggi l'articolo di Alberto Carrara su L'Eco di giovedì 30 maggio

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