Tutto sul flauto magico del rock

Quasi duemila biglietti venduti e c'è ancora posto. Cresce l'attesa per il concerto dei Jethro Tull al Lazzaretto, sabato 4 luglio, in apertura dell'edizione 2009 del Summer Sound Festival. È la prima volta in 41 anni di attività che la storica band inglese capitanata dall'istrionico cantante e flautista Ian Anderson viene a Bergamo. È l'evento rock dell'estate cittadina. 

Il flauto magico del rock viene a Bergamo per incantarci. Il tempo di una sera. Chissà quante volte l’ha fatto nelle nostre case. Un disco sul piatto, un cd nel lettore e siamo partiti con Ian Anderson e i suoi Jethro Tull. Ci riesce da quarantun anni, ci proverà anche sabato 4 luglio al Lazzaretto. Un centinaio di concerti l’anno, quaranta Paesi già visitati, più di trenta album sfornati, oltre 65 milioni di copie vendute. Lui stesso ammette che «non potrò continuare a farlo tutta la vita, perciò finché posso mi piace suonare in ogni angolo del mondo».

E bene hanno fatto il Comune e Zeroeventi - organizzatori del Summer Sound Festival in collaborazione con la Frame Events di Gigi Bresciani – a catturare questo sessantaduenne indomito finché ha fiato da soffiare nel suo flauto traverso, magari regalandoci dal vivo la sua celeberrima Bourée (rilettura dell’omonima aria di Bach dalla Suite per liuto in Mi minore BWV 996), e voce per cantarci «Song for Jeffrey», «Aqualung», «Locomotive Breath», «Living in the Past», «A New Day Yesterday», «We Used To Know», «Cross-eyed Mary», «My God», «Hymn 43», «Thick as a Brick», «Bungle in the Jungle», «Songs from the Wood», successi del passato remoto, tra i Sessanta e i Settanta, ai quali fa degnamente eco la più recente «Rocks on the Road» (da «Catfish Rising», 1991).

Ormai ogni anno che passa rischia di pesare sul vigore artistico di gente come i Jethro Tull. Perché bisogna essere realisti davanti alla carta di identità: sarà una gran serata, statene certi, ma nessuno si aspetti dal vecchio Ian la voce limpida degli anni ruggenti. Lo ricordiamo ancora vivace ma dall’ugola inevitabilmente consumata (i problemi patiti alle corde vocali nel 1985 hanno lasciato il segno) in un concerto al Palatenda di Brescia il 16 giugno 2001: quella sera faceva un caldo schifoso e tutto sommato i Jethro uscirono dalla sauna a testa alta. Il fido scudiero Martin Barre, rimasto al fianco di Anderson da «Stand Up» (1969) in poi, aveva conservato ogni carato della sua classe chitarristica.

La band inglese – originaria di Blackpool e spuntata nei locali di Londra sul finire del ‘67 con nomi che cambiavano continuamente fin quando Anderson, che però è scozzese di Edimburgo, non cavò da un libro le generalità dell’ingegnoso agronomo Jethro Tull (Basildon 1674-Shalbourne 1741) - è consapevole e ironica quanto basta per capire quanta benzina c’è nel serbatoio di uno spettacolo. E poi l’aveva dichiarato già nel ’76 nel titolo dell’album «Too Old To Rock’n’Roll: Too Young To Die!». Tra nostalgia e ottimismo Anderson e compagni riconoscevano la propria generazione troppo vecchia per il rock’n’roll ma troppo giovane per morire. La maturità aveva preso il sopravvento ma autorizzava a proseguire il cammino, cercando nuove strade musicali, salvo poi ritrovarsi a ripercorrere la via maestra. Come un cerchio che si chiude.

Blues, folk, rock, jazz, classica, elettronica, etnica 
I Jethro Tull sono molto amati dal pubblico, tanto da avere uno zoccolo indistruttibile di fan come si conviene alle band planetarie, perché hanno saputo modellare un suono che li distingue e genera buone vibrazioni. Muovendo dal blues di «This Was» (1968), quando il chitarrista era Mick Abrahams, e aggiungendo ingredienti folk, jazz e classici, ma con punte d’impatto hard rock (e persino influenze etniche nelle ultime produzioni in studio), in «Stand Up» (1969), «Benefit» (1970), «Aqualung» (1971), «Living in the Past» (1972), «Minstrel in the Gallery» (1975), «Song from the Wood» (1977), «Crest of a Knave» (1987) e «Catfish Rising» (1991), i dischi che consiglieremmo ai più digiuni, curiosi di scoprire il sound Jethro Tull. Senza dimenticare «Thick as a Brick» del 1972, una sinfonia lunga due facciate di long playing, un concept che sposa il progressive rock, sebbene Ian Anderson non abbia mai amato questa etichetta.

Ma «Thick as a Brick» è quasi più famoso per la sua confezione, che riproduce la prima pagina di un quotidiano immaginario. Così come è passata alla storia la copertina di «Aqualung» (l’album più conosciuto del gruppo), con il vecchio barbone che ha il volto di Anderson. Che è poi la faccia e la personalità dei Jethro Tull: egocentrico, istrionico e armato di quel flauto che suona sporco ispirandosi al jazzista Roland Kirk. Qualcosa di simile si sentiva negli olandesi Focus e in pochi altri.

Resta invece nell’anonimato la maggior parte dei lavori un po’ plastificati degli anni Ottanta, quando i Jethro, disorientati dall’evolversi dei tempi, si fecero contagiare dalla moda elettronica di sintetizzatori e drum machine: solo i cultori più devoti possono sopportare quella svolta più tardi corretta con la riscoperta dello stile delle origini. Quelle di «Stand Up», quando - forse non tutti lo sanno - i Jethro Tull nella bellissima «We Used To Know» gettarono i semi di quell’«Hotel California» che sette anni dopo, nel ’76, consacrerà la fama degli Eagles: ascoltare per credere, la musica delle due canzoni si assomiglia in modo impressionante negli accordi, nella progressione armonica, persino nell’assolo di chitarra, la parte leggendaria del brano degli americani. «Life is a long song»: l’hanno scritto e cantato i Jethro nel ’72, su «Living in the Past». E gli Eagles in quel passato sono andati a sbirciare volentieri.
Andrea Benigni

L’attuale formazione
Ecco i Jethro Tull che vedremo sul palco del Lazzaretto.
IAN ANDERSON: flauto, chitarra e voce
MARTIN BARRE: chitarre
DOANE PERRY: batteria
JOHN O’HARA: tastiere e fisarmonica
DAVID GOODIER: basso

Orario e biglietti
Il concerto di sabato 4 luglio al Lazzaretto inizia alle 20,45 (cancelli aperti dalle 19) ed è introdotto dallo scozzese Ray Wilson, già voce grunge degli Stiltskin, quindi del brit pop dei Cut non prima di aver vissuto il suo momento di gloria nei Genesis di «Calling All Stations» (1997).
L’ingresso costa 30 euro più diritti di prevendita (25 euro+d.p. il ridotto Giovani Card all’Ufficio giovani del Polaresco). Sono stati venduti sinora quasi duemila biglietti, c’è ancora posto. Per l’acquisto ci si può rivolgere ai negozi di musica di Bergamo e provincia, al circuito TicketOne e ad altri punti vendita indicati su http://www.frameevents.com/ e su http://www.summersoundfestival.com/index.htm.

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