Martedì 11 Agosto 2009
Gavazzeni, passato inosservato
il centenario della sua nascita

Da pochi giorni è passato così il centenario della sua nascita. Sono peraltro 13 gli anni che ci separano dalla sua scomparsa, il 5 febbraio 1996.
La ricorrenza del 25 luglio è passata quasi inosservata. Se vogliamo guardarla in positivo, ciò significa che Gavazzeni è ancora tanto presente tra noi che una ricorrenza simile non ha una particolare pregnanza. Oppure, anche, che la memoria della sua scomparsa è stata ed è ancora viva e forte, tanto che prevarica quella della nascita. Insomma, è possibile seguire le strade del ragionamento in un senso e in quello opposto. Certo è che Gavazzeni lascia una eredità pesante, pesantissima: potremmo dire imponente, e sfidiamo chiunque a sostenere che l'attributo è esagerato. Tanto grande che quasi sempre ogni contributo sul suo conto e sulla sua opera inizia dal fatto che è impossibile ridurre la sua figura a un profilo, seppur ampio.
Le radici bergamasche e lombarde sono forti e vive fin da quando, studente, si trasferisce a Roma e poi a Milano. Allo stesso modo il contatto con le grandi realtà delle capitali culturali - Roma e poi Milano, la Scala e l'Accademia di Santa Cecilia - alimentano la già fertile cultura internazionale che si respirava in casa sua. Il suo attaccamento con Bergamo, la specificità orobica e lombarda si rintracciano a più riprese, in modo inequivocabile, nella sua vasta attività di saggista e di scrittore. Sono celebri, per esempio, le attenzioni minute e amorevoli per «le campane di Bergamo e le varie peculiarità: nel Quaderno del musicista (1950), Il suono è stanco (1953), Non eseguire Beethoven (1974) o Nostalgie della terra bergamasca (1977). Basta leggere un passo, anche se sono tutti deliziosi: «Le campane hanno uno spazio ben preciso, un gioco polifonico nella musicalità bergamasca. Vi sono timbri felici di rara profondità e allegria. Percussioni con i martelli alle vigilie di festa, canzoni popolari, improvvisazioni, rigurgitate dalla coscienza etnica. I carillon fiamminghi sembrano piacevolezza da salotto, boites à musique, al confronto» (da Il suono è stanco). Le composizioni E parlano bergamasco anche tanti, davvero tanti titoli della sua opera compositiva. Quella per lo più giovanile, interrotta bruscamente nel 1949, anche perché era ormai decollata a livelli internazionali la sua attività come direttore d'orchestra. Si trovano così il Concerto bergamasco per orchestra, 1931, Quattro madrigali del Tasso per soprano e pianoforte, 1933, Canti di operai lombardi, poema sinfonico per orchestra, 1937, Notturni di bevitori bergamaschi per tenore e orchestra, 1938-39, Bergamasca per pianoforte, 1942. Modernissimo, non provinciale Modernissimo, tutt'altro che provinciale e attualissimo. Anzi di più, molto in anticipo sui suoi tempi, è la spiegazione (a posteriori, rilasciata in varie interviste) sul suo abbandono della composizione.
Specifica di Gavazzeni, in questo unico nel suo genere, fu l'attitudine a interessarsi della cultura musicale e anche di quella non musicale: da politici di rango, come Alcide De Gasperi, amico di famiglia (il padre di Gianandrea, Giuseppe, avvocato fu fu tra i fondatori del Partito Popolare e deputato negli anni '20) a Papa Giovanni, alle passioni per la poesia, la letteratura straniera (da Thomas Mann a Hemingway).
fa.tinaglia
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