Facchinetti: «Bergamo saprà rinascere
Ho sentito tanto amore intorno a noi»

In sottofondo l’accordatore pesta i tasti del pianoforte. Roby Facchinetti non ha smesso di creare nelle giornate di forzato isolamento.

La canzone «Rinascerò, rinascerai», scritta a quattro mani con Stefano D’Orazio, è nata nei giorni più duri, quelli delle bare portate via dall’esercito. «Chi avrebbe potuto immaginare tutto ciò? Una generazione spazzata via, imprenditori che hanno fatto l’economia della nostra Bergamo, punti di riferimento importanti scomparsi uno dopo l’altro. Nessuno è rimasto immune dal dolore. Tra parenti, amici e persone che lavorano per me se ne sono andati in otto».

Come ha vissuto questo periodo di isolamento?

«Barricato in casa, a Bergamo. Finalmente questo fine settimana potrò vedere figli e nipoti. Ero terrorizzato, ho una famiglia numerosissima e purtroppo oggi qualcuno di loro non c’è più. Sono state settimane orribili, psicologicamente devastanti. Mi auguro che questo terribile virus sparisca in fretta, i numeri di contagi e morti si sono abbassati, tutto fa ben sperare ma dobbiamo essere cauti e avere comportamenti responsabili».

La crisi economica è dietro l’angolo, ci aspettano momenti duri.

«In questi mesi si è fermato tutto, ci sono attività che probabilmente non riapriranno, altre sono ripartite, ma non potremo tornare alla situazione di tre mesi fa da un giorno all’altro. Bisogna tenere duro, sicuramente ce la faremo, dobbiamo superare lo choc. Sono convinto che abbiamo la capacità di rialzarci, è nei momenti di difficoltà che bisogna cercare di tirare fuori il meglio di sé. Questo è il momento di far lavorare più che le braccia e i muscoli il nostro cervello, la nostra creatività, per cercare di recuperare almeno in parte quello che abbiamo perso».

Uno dei settori più penalizzati è quello della cultura e degli spettacoli.

«Sono preoccupato per gli addetti ai lavori, gli invisibili. Il mio tour, ad esempio, che doveva partire in maggio ed è rimasto al palo, sostiene cinquanta famiglie. Dal 12 dicembre scorso, la data dell’ultimo concerto al PalaCreberg, siamo fermi. In queste settimane con la mia band, gli arrangiatori e i tecnici ho lavorato a un progetto musicale, stando ognuno a casa propria, anche per dare una mano a chi è inattivo da troppo tempo».

Cosa serve per ripartire?

«Questa potrebbe essere l’occasione per riformare un settore dimenticato. In Italia la musica - in particolare quella pop che dà da mangiare a centinaia di migliaia di famiglie -, la cultura e l’arte in generale soffrono la mancanza di tutela e valorizzazione. La musica ha una funzione sociale importante, siamo il Paese del belcanto, dovremmo essere i primi e invece siamo il fanalino di coda. Un’ingiustizia imperdonabile. Pensiamo allo sfruttamento dei brani sui canali digitali, le piattaforme pagano percentuali ridicole rispetto ad altre nazioni. Le leggi ci sono ma non vengono applicate. Il ministro Franceschini dovrebbe intervenire seriamente per dare alla musica la giusta collocazione e valorizzare un repertorio che ha fatto la storia della nostra cultura. Penso anche alle nuove generazioni, serve un ricambio, nuovi talenti e musicisti che vanno stimolati e sostenuti».

Quanto è stata importante la musica nel dramma che abbiamo vissuto? La sua canzone ha avuto risonanza mondiale.

«Ne è appena uscita un’edizione persino in vietnamita. L’hanno ascoltata in tutto il mondo, noi ci siamo limitati a metterla su YouTube e in poche ora ha fatto il giro del mondo. Da non crederci».

Come se lo spiega?

«È un brano nato di getto, dall’istinto più profondo, e credo che sia per questo che ha raggiunto il cuore delle persone. L’ho composto in cinque minuti, un inno alla vita scritto mentre combattevamo contro la morte. Molti malati mi hanno detto che per loro questo brano è stata la migliore medicina, non avrei potuto immaginare un complimento più bello. Eppure la musica a livello istituzionale non è considerata e questa è una grande ingiustizia, è assurdo, a maggior ragione nel nostro Paese».

Sarebbe bello ripartire in musica.

«Non torneremo prima del 2021 ai concerti dei tempi pre- Covid. Intanto potremmo accontentarci di eventi con un pubblico più ridotto, massimo mille spettatori in sicurezza, magari replicando le date. L’importante è fare passi verso la normalità, tornare a vivere, a sorridere, a emozionarsi».

Bergamo rinascerà?

«Ho sentito tanto amore e vicinanza intorno a noi. Siamo diventati famosi nel mondo, purtroppo per un motivo drammatico, ma in tanti hanno visto la bellezza della nostra città.Quando tutto sarà finito sono convinto che molte persone sentiranno il desiderio di visitare Bergamo e il suo territorio, e di conoscere la nostra gente».

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