La violinista moldava scalza
accende il Festival di passione

Patricia Kopatchinskaja mette in fila tutti. In una delle più belle serate del Festival pianistico, come capita in questi casi, tre elementi fondamentali concorrono ai risultati che soddisfano anche i palati più esigenti: solista, orchestra e direttore.

La violinista moldava, nota per le sue esecuzioni a piedi nudi (è successo anche sabato sera al Donizetti, solo che un lungo vestito rosso ha celato l’espediente, almeno fino ai fuoriprogramma), è stata all’altezza della fama che l’accompagna, quella di esser uno dei migliori archetti in circolazione. Quello che potrebbe apparire un vezzo, suonare scalza, si può spiegare bene con ragioni musicali e di percezione acustica.

Arcate pungenti, flessibili e duttilissime, suono liquido, tagliente e scattante, docile e decisissima. Insomma quanto di più adatto per una musica capricciosa, visionaria e appassionata come quella di Prokof’ev, di cui la Kopatchinskaja ha interpretato il poco frequentato Concerto n. 2 per violino e orchestra.

L’artista moldava, oltre alle scintillanti doti violinistiche, ha dato prova di cosa vuol dire (o può voler dire) essere artista oggi: un musicista capace di viaggiare a tutto tondo tra storia, recente passato e attualità. Tra i due fuoriprogramma concessi a furor di entusiasmo anche un pezzo contemporaneo: in quest’ultimo, più che i piedi nudi della dama moldava, hanno colpito i versi e gli strilli a cui la solista era chiamata mentre tacciava le tessiture violinistiche: «gesti» arcaizzanti che dicono della disperata ricerca di nessi e sintassi linguistiche della musica oggi.

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