Venerdì in piazzale Alpini i Modena City Ramblers

IL CONCERTO. Davide Morandi: «Siamo tutti in alto mare, sia a livello sociale che politico. L’Italia dimentica il suo passato di migrazioni».

I Modena City Ramblers tornano in città, in concerto venerdì 16 giugno al «Nxt Station» di piazzale Alpini (inizio ore 20.30; biglietti disponibili). Stavolta portano novità: un album nuovo che s’intitola «Altomare», in uscita il 23 giugno, due singoli in circolazione da poco, «Mediterranea» con Luca Morino dei Mau Mau, «Resistenza globale» condiviso con i Punkreas. Band storica del combat folk made in Italy, i Modena ripartono in un clima del tutto peculiare con un titolo evocativo di quell’incertezza che stiamo vivendo di questi tempi. «Siamo tutti in alto mare, sia a livello sociale che politico», spiega il cantante Davide “Dudu” Morandi. «Facciamo fatica a trovare una rotta. Nel disco ci sono canzoni che vanno in quella direzione, alcune più battagliere come “Resistenza globale”, alcune ironicamente meste come “Le guerre degli altri”, altre più introspettive, filosofiche, come “Barche in mezzo al mare”. E ci sono anche canzoni che raccontano la condizione degli emigranti e quel che succede da troppi anni: “Mediterranea”, “Fuoco a mare”, “Per quanto si muore”, “Dall’altra parte”. Sono pezzi in cui si possono leggere tanti aspetti. Volevamo tornare a raccontare chi siamo, da dove veniamo. Qualche volta è bene ricordarlo».

Siamo stati migranti anche noi

«Certo. Il popolo italiano non è mai stato libero da situazioni del genere: anche noi abbiamo infestato il resto del mondo con le nostre valigie. Quando qui da noi c’era fame e non si riusciva a campare siamo partiti alla volta di altri Paesi. Il benessere ci ha fatto dimenticare tante cose. Non ci sono più i nonni e i bisnonni a raccontare le storie di quando sono partiti per andare in Uruguay o in Belgio a cercare il carbone in miniera. Ci siamo dimenticati di una realtà che oggi interessa altri popoli. In “Mediterranea” parliamo di quello che una volta chiamavamo Mare nostrum, un mare non privato, di tutti. Crocevia di civiltà e scambi».

Siete in pista da decenni, avete attraversato vari momenti dello scenario musicale, sociale e politico italiano, fedeli a un «filo rosso» ideale, ai temi della solidarietà, della tolleranza, della condivisione, del rispetto. Com’è stato nel tempo confrontarsi con tali tematiche? Passano gli anni e le barche affondano in mare, la condivisione è un sogno che s’allontana, l’intolleranza si accosta sempre di più.

«Alcune cose sono addirittura peggiorate. Per noi non è facile, così come per ogni singola persona. Crescere all’interno di una società che negli anni è sempre stata in continuo cambiamento è problematico. Lo misuriamo dal tempo in cui siamo nati. Allora non esisteva Internet, non c’erano i cellulari, gli smartphone. C’erano le cabine telefoniche coi gettoni, tanto per capirci. Se oggi lo racconti ai ragazzi pensano che sia fantascienza. Per tutti è difficile reinventarsi quotidianamente».

Come avete fatto a mantenere la rotta?

«Siamo una grande famiglia, forte di un ideale musicale un po’ diverso dagli altri, con la porta sempre aperta, con la gente che andava e veniva, abbiamo tenuto la barra dritta sull’idea di gruppo. Forti di questo, nel corso dei decenni siamo riusciti a continuare, a seguire una strada precisa. Continuiamo a fare la nostra musica dal ’91. Cambiano le sonorità, le idee e gli ideali sono sempre quelli. Facciamo del combat folk ed è ancora la definizione che ci piace dare alla nostra musica. Cerchiamo di adattarla al momento, alla stagione storica e sociale che si vive. Ma continuiamo a fare quello che i Modena facevano all’inizio, mutuando influenze dalla tradizione irlandese. Raccontiamo storie anche tragiche, tristissime, devastanti, facendo ballare la gente, facendola divertire. È forse il modo migliore per attirare l’attenzione su determinati argomenti. E ci piace molto quando i ragazzi giovanissimi si avvicinano alle nostre canzoni e scoprono le realtà di cui parlano».

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