Console Wars, la sfida
di Super Mario e Sonic

Come il rock, dato periodicamente per estinto, anche il videogioco si rigenera cambiando tecnologia, interpreti e attingendo nuova linfa dal quotidiano, dal fantastico, dalla leggenda. E quando non basta, dalla sua stessa storia.

Sì, perché ormai il videogioco è un’attività trasversale che abbraccia economia, creatività e marketing, è pane per sociologi, scienziati, artisti e filosofi. Insomma sulla natura e la storia del videogioco c’è poco da scherzare, ma tanto da raccontare.

Ne è convintissimo Blake J. Harris che ha dedicato i suoi sforzi per confezionare «Console Wars», un tomo da oltre 500 pagine dedicato all’aspra contesa per il predominio del mercato americano dei videogiochi domestici tra il colosso Nintendo e l’arrembante Sega. Un’epopea del business videoludico raccontata con i toni della sfida tra Davide e Golia e tutto l’entusiasmo americano per il grande gioco del fare soldi. Una autentica guerra della compravendita dove le armi sono le strategie di marketing, la qualità della squadra, la portata degli investimenti. Leggere «Console Wars» significa tuffarsi in una specie di Dallas più Mad Men, ma ambientato negli anni ’90, quando le frontiere del mercato globale cominciavano ad assottigliarsi come la fascia d’ozono nella stratosfera.

Personaggio centrale, non protagonista perché il racconto romanzato vira più sul corale che sull’individuale, è Tom Kalinske, manager avventuroso, discreto re Mida dell’industria del giocattolo che dopo aver rivitalizzato la Mattel (pare che i muscolari personaggi di Masters of the Universe siano farina del suo sacco) decide di lanciarsi nel mondo del videogame. E l’offerta gli arriva da un serpente tentatore del Sol Levante, Hayao Nakayama, presidente di Sega Enterprises che lo convince a diventare amministratore delegato della società negli Stati Uniti. La multinazionale dell’intrattenimento diventerà una sorta di serpente aziendale a due teste, anche se il cuore creativo resterà in Giappone. La missione, apparentemente impossibile? Scardinare il semi monopolio di Nintendo, simboleggiata dal baffuto Super Mario e dalle sue mirabolanti avventure.

Kalinske si getta nell’impresa riorganizzando la squadra, studiando i punti deboli di Sega e soprattutto quelli dell’avversario. Capisce subito che si sta muovendo in un territorio di confine, e questo per diverse ragioni: il mercato dei videogame domestici era guardato con sospetto dopo il crac del 1983 che aveva mandato a gambe all’aria tante aziende. Molti pensavano che i trastulli elettronici sarebbero finiti nei garage e nelle discariche, invece la costanza e la qualità nipponica di Nintendo era riuscita a conquistarsi la fedeltà di tanti teenagers americani. Sembrava però che soltanto questo marchio, e le sue politiche a circuito chiuso, potessero garantire la continuità e la prosperità del settore, i concorrenti erano tollerati purché si accontentassero delle briciole. Altro aspetto delicato erano i rapporti Usa-Giappone: un dialogo non sempre limpido tra due culture profondamente diverse e a volte intralciato da complessi e timori.

Harris racconta l’assalto al castello Nintendo usando la prospettiva di Sega, una lotta che sembra impari finché non spunta un certo porcospino blu con le scarpette rosse che ama correre: Sonic. Insieme allo sviluppo della tecnologia a 16 bit, è la chiave di volta del successo di Sega. Sonic con quell’aria un po’ sbruffona incarna la sfida portata ad un nuovo livello. «Welcome to the next level» era infatti lo slogan vincente della campagna Sega, il segnale della svolta: il videogame allargava il suo raggio d’azione oltre la fascia dei ragazzini e delle famiglie, rivolgendosi ai giovani e agli adulti. Per usare un paragone musicale, si prospettava uno scontro di personalità e di stile: da una parte i fantasiosi ma rassicuranti Beatles (Nintendo) e dall’altra i rumorosi e anticonformisti Rolling Stones (Sega).

L’approccio di Harris è quello di uno sceneggiatore, il ritmo della scrittura, la struttura del racconto mirano all’incedere dei film di Martin Scorsese, tipo Wolf of Wall Street per intenderci, ma senza eccessi di sorta. Infatti tutto il conflitto è verniciato di politically correct, per la serie non facciamoci troppo del male: gli avversari non sono nemici, le beghe legali sono parte della battaglia, le porte sbattute in faccia e le promesse non mantenute sono incidenti di percorso nel grande mare del management. Il risultato, diciamolo, non tiene con il fiato sospeso, ma è altamente istruttivo sulle dinamiche dietro le quinte delle grandi compagnie. Pensando che si era agli albori della finanza globale, questo «Console Wars» ha un sapore parecchio vintage. E non soltanto per gli appassionati di videogiochi.

Gianlorenzo Barollo

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