Il prezzo del futuro
è fanta-economia

«Il prezzo del futuro». Titolo azzeccato per una raccolta di racconti - edita da La Ponga edizioni - che apre delle finestre narrative sul nostro avvenire privilegiando gli scenari marcati dai rivolgimenti economici.

Volenti o spiacenti, l’economia resta uno dei cordoni principali dei rapporti umani, non solo quello della borsa come si potrebbe pensare. Infatti l’economia ha ricadute dirette sulla società e sui valori che la distinguono, sulle abitudini e sulle relazioni che caratterizzano un villaggio, una città o una nazione.

La raccolta curata da Vittorio Catani e Gian Filippo Pizzo propone un buon assortimento di scenari, dalla micro alla macro economia, arrivando a contemplare anche le forme extra planetarie e persino quelle metafisiche.

Complicato più che mai fare una media qualitativa del gruppo, troppo distanti i valori in campo. Distanti perché gli approcci sono diversi e ovviamente i toni. Il tema guida è stato svolto da molti degli autori in chiave paradossale, spingendo le tendenze dell’oggi oltre il limite il nostro orizzonte temporale.

Come osserva Valerio Evangelisti nell’introduzione, è interessante che questa raccolta sia nata in Italia, un Paese che da tempo è diventata una postazione privilegiata sul ribollente fronte economico. L’Italia si è sollevata dalle ceneri del dopoguerra e ha fatto il «boom» tra gli anni ’50 e ’60, poi sono arrivati gli anni di piombo e la crisi petrolifera, ma il tricolore è anche riuscito a sventolare nei summit del G8. L’euforia degli anni ’80 e gli altalenanti anni ’90 sui binari dell’euro e della new economy sembravano indirizzarci ad nuova età dell’oro...invece.

E in questo panorama delle «discese ardite e le risalite» le prospettive sono alquanto fosche. Non basta certo il colpo fortunato del «Ritardo del sei» nel racconto di Pierfrancesco Prosperi per rinfrancare un Paese dalle finanze talmente disastrate da aggrapparsi alle variabili del lotto. «Lo sterco del diavolo: relazione sull’Italia» dello stesso Gian Filippo Pizzo più che una storia è una ricetta anti crisi abbastanza choc: niente più denaro (per contrastare l’evasione fiscale) e riforma del calendario (settimane di sei giorni, uno solo di riposo). Potrebbe funzionare? Chissà!

Il precariato lavorativo ed esistenziale, le catastrofi della finanza globale e i raggiri legalizzati nell’era del terziario che non ti dà una mano - ma volentieri te la tronca - sono ritratti con venature di cinismo e humor nero da Vittorio Catani, Bruno Vitiello e Antonino Fazio. Stefano Carducci e Alessandro Fambrini ne «I sette contro il capitale» affrontano il filone filosofico toccando la classicità con un pregevole stile onirico. Tra le prove più gradite c’è «La miniera» di Andrea Angiolino e Francesca Garello: un racconto ben equilibrato, con voci e sentimenti credibili che riproduce su un asteroide sperduto le conseguenze delle fredde logiche del profitto.

Il post apocalittico con l’abbattimento degli ultimi tabù della civiltà e i regimi distopici che arrivano a riplasmare il ciclo vitale sono trattati da Marco Rossi Lecce, Giovanni Burgio e Francesco Troccoli. Mentre Michele Piccolino condensa in un efficace flash di matrice vandalica, “Il tirocinio”, la rivelazione dei meccanismo del capitalismo consumistico.

Lo spazio e le dimensioni dello spirito sono le aree esplorate da Giovanni De Matteo e Mauro Antonio Miglieruolo, davvero senza risparmio di trovate ed effetti speciali. Plauso per Franco Ricciardiello che in una elegante cronaca di una serata veneziana, ambientata in un settecento alternativo, racconta i commerci tra la Serenissima e il popolo dei Seleniti.

Per chiudere vanno ringraziati Piero Cavallotti e Riccardo Rovinetti, che con il loro «Robin Hood» riescono a concepire una efficace scintilla di rivolta in una società che fatica soltanto al pensiero di rialzarsi per un nuovo cammino.

Gianlorenzo Barollo

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