La felicità chiede
allenamento

Felicità non è sinonimo di perfezione o di successo, anzi, ammicca con più convinzione «agli ultimi che non hanno voglia di diventare primi, e che sorridono lenti verso il traguardo». È la filosofia che anima «La sindrome di Up. La felicità insegnata da persone con sindrome di Down» di Paolo Ruffini (Mondadori), un libro illuminante che nasce da un’esperienza teatrale, «Up&Down», happening comico di successo con attori disabili, diventato poi un documentario premiato alla 75esima Mostra del Cinema di Venezia e ai Nastri d’Argento 2019.

Il racconto di Ruffini nasce dal desiderio di «mettere da parte il numero dei cromosomi per considerare piuttosto quanto siamo abili e disabili alla felicità». Trova un punto di vista spiazzante: la scelta più comune tra le persone «normali» è quella di essere «down», nervose, imbronciate, mentre quella di chi ha la sindrome di Down, al contrario, è di essere «up», trovando gioia anche nelle piccole cose, uno sguardo sul mondo prezioso per tutti.

Offre un punto di vista diverso ma egualmente intimo «Apprendista di felicità. Una vita in giardino» (Ponte alle Grazie) di Pia Pera, scrittrice lucchese scomparsa nel 2016, che scriveva di giardini come palestre di cultura, esercizio di natura, pazienza, consolazione e stupore. Parlava di piante e di libri, tracciando sentieri in cui ognuno può cercare le proprie (felici) risposte.

È un invito a conoscere meglio se stessi attraverso la lettura, infine, «I libri che fanno la felicità» (Vallardi) di Rachele Bindi, psicoterapeuta: parte dal presupposto che ognuno di noi sia fatto di storie e che trovarne di nuove offre spunti, parole, schemi di interpretazione della realtà, nutrimento per l’anima.

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