Nel manuale di Perrone
un Paese tutto da gustare

Se c’è una parola d’ordine oggi è la parola «gusto». Un antico termine dal profumo provenzale, che parla di esperimenti e assaggi, di soddisfazione a tavola e quindi di contentezza pronta a riversarsi nella vita.

Roberto Perrone, al secolo giornalista sportivo del «Corriere della Sera», biografo di Gigi Buffon e tra una partita e l’altra frequentatore assiduo delle mense più varie, ha rilegato in un volume le sue scorribande enogastronomiche, le sue digressioni epatiche, i suoi articoli di cucina e viaggi pubblicati sul giornalone milanese dal 2009 al 2014, dunque in un lasso di tempo breve, che avrebbe sfiancato l’apparato digerente di un Brera o di un Beppe Viola. Aggiungendo nuovi capitoli «comportamentali-filosofici» che raccontano le sue «fissazioni» e le sue osservazioni antropologiche condotte dal lindo confine del tovagliolo disteso tra sé e i commensali.

Perrone, diciamolo subito, ha un pregio: sta dalla nostra parte della tavola. S’intende, e parecchio, della frastagliata geografia e araldica della ristorazione italiana, si muove con disinvoltura tra «Dal pescatore» e «Da Vittorio», tra Vissani e gli Alajmo, ma non disdegna un pubblico più low cost, e nelle sue 500 e passa pagine sgrana aziende agricole e panifici, agriturismi e birre artigianali, Bed&Breakfast e caffè. A leggere queste pagine onnivore sembra che Perrone abbia pranzato e cenato (quasi) dappertutto, tra calamari e strudel, tartufi e confetti.

Un pratico indice dei luoghi («dei misfatti») consente di usare il suo volume come si conviene a un manuale, ovvero come un googlemap cartaceo da geolocalizzare alla bisogna per fini assolutamente utilitaristici e immediati.

Un rapido controllo sull’area nostra («Bergamo non è solo bella ma anche buona») permette di testare il suo corretto orientamento sul territorio: la sua scelta, di parte (ma altrettanto condivisibile) cade su Lio Pellegrini, ma declina con proprietà anche Ol Formager di Piazzale Oberdan e l’Orobica Pesca.

Qualche nome manca naturalmente, il volume di Perrone non è un distributore di asterischi nè un’enciclopedia. È, appunto, il diario di un «viaggiatore goloso», ragionevole e partigiano, un po’ nostalgico (come ogni ligure che si rispetti) e anche leggermente modaiolo. Un uomo del nostro tempo insomma, capace di cogliere nelle anse del fiume della vita quel «gusto» magari svaporato poche ore prima di fronte a un derby finito 0-0 o a una partita della Nazionale di Prandelli. Prosit.

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