Giulio Orazio Bravi: «Biblioteca Mai, memoria di sicurezza per il futuro»

INTERVISTE ALLO SPECCHIO. Questa intervista è parte del progetto «Interviste allo specchio», condiviso con «Il Giornale di Brescia» e nato in occasione del 2023, l’anno che vede i due capoluoghi uniti come Capitale della Cultura 2023. Ogni domenica i due quotidiani propongono l’intervista a due personaggi autorevoli del mondo culturale (nell’accezione più ampia), uno bergamasco e uno bresciano, realizzate da giornalisti delle due testate. Di seguito trovate l’intervista al personaggio bergamasco. Per scoprire il contenuto dell’intervista all’omologo bresciano, invece, vi rinviamo a Il Giornale di Brescia: ecco il link.

Cos’è una biblioteca storica? Un monumento? Che senso ha nella cultura di due città come Bergamo e Brescia?
Anzitutto – risponde Giulio Orazio Bravi, per 14 anni direttore della Biblioteca civica Angelo Mai, in Città alta, bisogna capirne la storia. La genesi: «La Mai di Bergamo e la Queriniana di Brescia sono state entrambe volute e create, nel ‘700, da due cardinali, persone molto colte, illuminate; perché l’Illuminismo non toccò solo la scienza, la politica, l’arte, ma anche il mondo della ricerca, della storia. Querini e Furietti sono dentro il secolo dei Lumi, anche se sono ecclesiastici respirano quell’aria».

Angelo Maria Querini era un uomo abbiente, nato in una grande famiglia veneziana. «Il cardinale è un principe, e si manifesta tale nel momento in cui dona qualcosa agli altri: può essere la costruzione di una chiesa, di un ospedale, può essere finanziare una grande opera di carità: loro fondano due biblioteche. Querini è un intellettuale di grandissimo livello: ha un carteggio con Voltaire, che lo stima molto. Diventa vescovo nel 1728. A Roma era il bibliotecario di Santa romana Chiesa: aveva donato alla Vaticana tutti i libri che aveva acquisito fino ad allora. Ma ci tiene a diventare anche pastore di anime, il Papa lo accontenta e lo manda a Brescia. Viene però a sapere che i libri che lui ha donato alla Vaticana li stanno vendendo, perché ritenuti doppi. Allora fa una proposta al Papa: fermatevi, li ritiro tutti io, ve li ripago (tantissimo) e fondo una biblioteca per i “figli” della mia diocesi. Ma non la gestisce lui, né la consegna alla Curia bresciana, bensì al Comune. E perché avesse le risorse per mantenerla lasciò in dote dei terreni che fornivano una rendita».

La «Angelo Mai» di Bergamo inizia la sua storia 15 anni dopo. «Un altro cardinale, Giuseppe Alessandro Furietti, ha visto l’esempio di Brescia e decide di imitarlo: per testamento (morirà nel 1764) lascia tutta la sua biblioteca alla Città di Bergamo, senza tuttavia una rendita per mantenerla. Misero provvisoriamente i libri all’ultimo piano del Palazzo Nuovo in Piazza Vecchia, dove allora aveva sede il Comune, lo stesso che oggi è per intero sede della Biblioteca Mai. Per fortuna ci pensò poi il podestà Alvise Contarini a finanziare la biblioteca».

Che senso hanno archivi così antichi, nel mondo di internet?
«Vede, io sto invecchiando, e una cosa di cui ho paura è di diventare come tutti i vecchi “laudator temporis acti”, uno che dice sempre bene solo di un passato che non c’è più. Ho studiato la storia e ho visto che questi “laudatori” hanno spesso torto. Si dice: i giovani sono sempre con il telefonino in mano, tutto diventa digitale, noi invece amiamo ancora i libri, il profumo della carta… Io amo i libri – lo può immaginare - però dico: stiamo attenti a essere così negativi. Ho studiato a fondo il passaggio, fra ‘300 e ‘400, dai manoscritti ai libri a stampa: anche allora ci fu una reazione terribile, sembra quella di oggi: “Adesso in una settimana – si diceva - si fanno mille Bibbie: andranno in mano a chiunque!”. A un certo punto la stampa fu chiamata “l’arte del diavolo”. Quando c’è stato il Covid ci hanno tenuti in clausura per mesi, io per un mio studio volevo consultare le varie edizioni del Calepino, dizionario latino: alla “Mai” non potevo andare, così sono andato sul sito della Staatsbibliothek di Monaco di Baviera, che ha la più ricca collezione al mondo di Calepini: e ho scoperto che li hanno digitalizzati tutti e messi on-line gratuitamente. Così ho lavorato stando in casa mia, purtroppo con la campana che ogni mezz’ora suonava a morto».

Se tutto va on line, perché dovremmo conservare le biblioteche storiche?
«Perché non sappiamo cosa succederà fra venti o trent’anni. Io ho avuto un’esperienza negativa: quando ero direttore della Biblioteca Mai abbiamo digitalizzato tutti i progetti arrivati dalla Russia dell’architetto Giacomo Quarenghi: più di 700 pezzi. Oggi non sono più leggibili perché sono cambiate le procedure informatiche. Sarà bene che queste biblioteche storiche continuino a conservare gli originali. E poi nella biblioteca cartacea io vedo le note di possesso, i segni di lettura che uno ha lasciato... Quando apro un libro questo mi richiama altri libri che sono lì, saggi sull’argomento, o riviste…Il bibliotecario vede ciò che vai cercando e magari ti dice: “Guardi, dottor Bravi, che uno studioso ha appena fatto una ricerca analoga... Se vuole la metto in contatto”. Questo il computer non te lo da».

Ecco qui il link al Giornale di Brescia per leggere l’intervista all’omologo bresciano.

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