Isabella Di Iulio: «Facciamo muro al virus: terza dose per il match point»

La palleggiatrice del Volley Bergamo 1991 si è ammalata di Covid: è stata dura riprendersi. E invita tutti a vaccinarsi in questa intervista all’insegna del #iomivaccino

Non siamo ancora al match point contro il virus. Ma la luce in fondo al tunnel comincia a lampeggiare. Bisogna stringere i denti e non mollare proprio adesso. Isabella Di Iulio, palleggiatrice del Volley Bergamo 1991, parla della pandemia con realismo, ma anche con fiducia, distillando grinta, buonsenso e speranza. Isabella ha provato la malattia sulla pelle, si è confrontata con il disagio e la solitudine del lockdown, e sul vaccino ha una posizione chiara: «Non vedevo l’ora di vaccinarmi per tornare ad un inizio di normalità, per vivere più tranquillamente, pur nella consapevolezza che servono sempre le giuste precauzioni. Il vaccino non ha rappresentato la fine dell’incubo, ma un bel passo in avanti certamente sì. La prima dose l’ho fatta in Abruzzo e la seconda a Bergamo il 25 agosto. E sicuramente farò la terza dose il prima possibile».

Flashback: torniamo per un attimo all’esplosione della pandemia nei primi mesi del 2020…
«Mi trovavo a Monza. Giocavo lì. Ricordo la paura per le persone care, lo smarrimento perché non si sapeva bene cosa fosse questo virus e quando sarebbe finita l’emergenza. C’era da parte mia il desiderio forte di tornare a casa, dalla mia famiglia, ma anche ovviamente l’attenzione e il rispetto per le regole e le restrizioni. Sembra lontanissimo nel tempo il primo lockdown e sembra passata una vita. Le immagini che mi sono rimaste? Beh, gli scaffali vuoti al supermercato nei primi giorni e il clima apocalittico, di desolazione, che ci circondava. E poi naturalmente la colonna terrificante dei camion di Bergamo».

L’isolamento forzato del lockdown ha avuto un impatto anche sulla vita da atleta?
«Secondo me sì. Avere una socialità e comunque uno svago aiuta a staccare. Sono piccole cose che anche lo sportivo si concede per allentare la tensione. E poi il fatto di non giocare con il pubblico è stato molto triste. Io faccio questo sport anche per la possibilità di regalare emozioni al pubblico: è la cosa più bella, sia nella vittoria che nella sconfitta. Contro Novara e Busto Arsizio vedere più gente sulle tribune è stata una sensazione bellissima».

Prima del vaccino, anche se c’erano i controlli con tamponi ed esami sierologici, prevaleva comunque la preoccupazione?
«Nelle prime amichevoli, quando si è ripreso a giocare, c’era obiettivamente molta incertezza. E anche paura. Il vaccino non è una garanzia al 100%, lo sappiamo tutti. Ma ci fa stare più tranquille. Si entra nel Palazzetto con maggior serenità e si vive la vita in una condizione più vicina alla normalità».
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Nella quotidianità cosa è cambiato dopo il vaccino?
«Nella mia esperienza ha consentito un ritorno alla socialità meno timoroso. Ricordo il primo aperitivo alla riapertura: ero in difficoltà, a disagio… Non mi voglio sbilanciare troppo perché sono consapevole che il vaccino non sia ancora la cura definitiva al 100%, ma mi fa sentire davvero più tranquilla».

La prima reazione dopo aver contratto il virus?
«È accaduto a dicembre dell’anno scorso. È stata una bomba sul piano psicologico. Ho subito pensato: ma come ho fatto a prenderlo? Ti rendi conto di come non sia sufficiente la tua attenzione, ma sia tutto legato ai comportamenti collettivi. Stavo tornando a casa dai miei genitori e mi è arrivata la telefonata che mi avvisava della possibilità di contagio. Ho fatto retromarcia in un attimo... A volte si può pensare: vabbè, tanto frequento le persone che conosco e sono abbastanza sicura. Bene: non è così. Il covid non guarda in faccia a nessuno. Lo puoi contrarre anche se pensi di non aver corso rischi».

E poi?
«Sono stata fortunata e non ho avuto grossi sintomi. Il post è stato invece più complicato perché ho avuto problematiche a livello di fiato che sono durate a lungo. Così come la fatica a concentrarsi, a cercare di mantenere l’attenzione per un certo periodo. Queste complicanze ti fanno capire quanto sia insidioso questo virus».

Il primo pensiero dopo la positività?
«Non ero preoccupata per me. La malattia non è stata forte. Ma ho pensato subito: se non avessi ricevuto quella chiamata e fossi rientrata a casa dalla mia famiglia, cosa sarebbe successo? Ho avuto una paura tremenda per coloro che avrei potuto contagiare. Questo è il lato forse più angosciante del covid».

Quale è la componente più importante della campagna vaccinale?
«Quella legata all’altruismo e all’idea di società. Ci si vaccina per proteggere se stessi, ovviamente, ma anche e soprattutto per gli altri. Bisogna pensare alle persone che ci stanno vicino, ai familiari. Io ho pensato a mia nonna, per esempio. La vedo come un’azione personale, ma legata al concetto di responsabilità collettiva».

Cosa pensa di chi decide di non vaccinarsi?
«Faccio una premessa: a mio parere si stanno confondendo diversi piani, tra vaccino e Green pass, per esempio. Credo che la situazione sia diventata più complessa perché si è mescolata con la politica. Io vedo la questione in modo più diretto: mi vaccino per me stessa e per la maggior sicurezza degli altri. Punto. Chi ha dei dubbi sul vaccino penso che continui ad averli. Alcuni hanno delle paure, dei punti interrogativi che rimangono, e li rispetto. Comprendo meno chi non si vaccina a prescindere, per partito preso. Per convincerli forse gli direi: fatelo per i vostri cari. So che ci sono ancora over 60 che resistono, pur essendo una categoria a rischio. A queste persone dico: pensate ai vostri figli. Bisogna far leva sulle coscienze».

La terza dose è stata avviata.
«La farò sicuramente. E sono fiduciosa sull’adesione che ci sarà. È un altro tassello di grande importanza. Non siamo ancora al match point, purtroppo. Penso che ci voglia ancora un po’ di tempo per uscire definitivamente dal tunnel e lasciarsi alle spalle questa pandemia. Però adesso è il momento di non abbassare la guardia, di non mollare. Il senso del vaccino è cercare di vivere più in tranquillità. Sono convinta che sia necessario insistere. Non fare la terza dose, per esempio, sarebbe come lasciare le cose a metà».

Cosa direbbe a chi è ancora dubbioso?
«Sbrigatevi… Capisco le paure e le rispetto. Ma bisogna vivere nella realtà. Ci sono dati innegabili. Fatelo per voi stessi e per gli altri».

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