«Le mie valigie sono pronte
Desidero una morte santa»

«Questa non è morte». Così «L’Eco di Bergamo», 55 anni fa, titolava il fondo del direttore Andrea Spada annunciando la dipartita di Giovanni XXIII.

Alle 19,45 del 3 giugno 1963 tutto si era compiuto. Il Papa della bontà era spirato mentre il card. Luigi Traglia pronunciava l’Ite missa est: la fine della liturgia coincideva con l’ultimo respiro del pontefice. Fu allora che la finestra dell’appartamento pontificio si illuminò di colpo: un lampo e tutti capirono che Papa Roncalli era entrato nella luce eterna. Fu la notizia più cupa e triste del giorno. I quotidiani di tutto il mondo diedero l’annuncio a caratteri cubitali, macchiati di un piombo funereo, «L’Eco» uscì listato a lutto. La tv in bianco e nero venne inondata di edizioni straordinarie.

Ma «Questa non è morte» replicò sul nostro giornale monsignor Spada. Una frase questa ripetuta pochi giorni fa da un parrocchiano di Sotto il Monte, Gabriele Mapelli, che a Bergamo Tv ha gridato con forza: «Papa Giovanni è qui vicino a noi, non è morto, è vivo» . Le spoglie del Santo custodite nell’urna nella Cappella della Pace «continuano a parlare», suscitano affetto, calore e anche moniti .C’è sempre qualcosa di misterioso che accompagna la morte di un Papa. Oscura certezze, cancella punti di riferimento, ma il trapasso non cancella la memoria, anzi perpetua il messaggio, l’esempio, gli insegnamenti di un uomo. È così per Papa Giovanni, che pochi chiamano San Giovanni XXIII, per renderlo ancora più vicino a noi. Il pensiero della morte ha accompagnato il pontefice quasi tutte le sue giornate. Fin da giovinetto, quando rimase impressionato assistendo alla morte del suo parroco don Francesco Rebuzzini, riverso a terra colto da malore. Cappellano militare diede l’estrema unzione a giovani soldati e molti lo videro scoppiare a piangere. In Bulgaria vide i morti del terremoto.

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