In Italia si muore di più
ma non allo stesso modo

Crolla il mito della speranza di vita in costante aumento. Nel 2015 L’Italia ha visto un’impennata preoccupante dei decessi: sono aumentati dell’11 per cento rispetto all’anno precedente.

Un incremento impressionante, se paragonato al dato del 2014: 67mila decessi in più. Un aumento che davvero non si vedeva da decenni. Come conseguenza l’aspettativa di vita media alla nascita diminuisce di due o tre mesi per gli uomini (scende a 80,1 anni) e di tre o quattro per le donne (passa a 84,7). «Il numero è impressionante. Del tutto anomalo perché, per trovare un’analoga impennata della mortalità, con ordini di grandezza comparabili, si deve tornare indietro fino al 1943 e, prima ancora, occorre risalire agli anni tra il 1915 e il 1918», ha commentato il noto demografo Gian Carlo Blangiardo.

Insomma, non succedeva dalle due guerre mondiali del Novecento. La domanda è: ci ammaliamo di più o ci curiamo meno? I particolari non sono ancora noti: quando saranno diffusi si potrà meglio comprendere dove si annida il problema. Già ora, però, si possono indagare le possibili cause. Il picco di mortalità del 2015 sembra dovuto per un terzo a causa transitorie, come il calo delle vaccinazioni antinfuenzali e la minore efficacia di determinate profilassi contro i virus di stagione. Per due terzi, però, risalirebbe a fattori che si ripresenteranno in futuro. Per esempio, come è stato osservato dall’Agenzia europea per l’ambiente, l’Italia è al primo posto per morti derivanti da inquinamento: questo tristissimo primato sicuramente può influire.

Si deve aggiungere una riflessione sull’andamento economico e sull’accesso alle cure. In primo luogo la crisi ha drasticamente ridotto la capacità delle famiglie di far fronte alle proprie esigenze, tra queste anche quelle sanitarie. Poi ci si deve interrogare sulla qualità delle prestazioni sanitarie: se queste siano di livello adeguato a rispondere al bisogno di salute dei cittadini. La tendenza rischia di diventare permanente e potrebbe essere sempre più legata alle condizioni sociali. L’Istat, del resto, già nel rapporto del 2012 aveva mostrato che durante la piena età adulta (tra i 25 e i 64 anni) la mortalità si distribuisce a macchia di leopardo su base sociale e educativa. Un maschio con un basso livello d’istruzione è quattro volte più soggetto di un coetaneo con un alto livello d’istruzione a morire per «cause esterne»: per esempio, un incidente d’auto. Sia un uomo sia una donna con un’istruzione bassa hanno più del doppio di probabilità dei loro coetanei con una laurea di morire di tumore prima dei 65 anni. E in Italia l’ascensore sociale è fermo: solo il 5 per cento dei figli di operai con la licenza media approda alla laurea, mentre la consegue il 62 per cento dei figli di padri benestanti.

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