La strategia per uscire
dalla paura liquida

Compie dieci anni il memorabile saggio di Zygmunt Bauman «Paura liquida». Il sociologo, oggi novantenne, ha coniato un’espressione divenuta proverbiale, paragonando il concetto di modernità e quello di postmodernità rispettivamente allo stato solido e a quello liquido della società: «Modernità liquida», «Amore liquido», «Vita liquida» sono tra i titoli dei suoi libri.

La «paura liquida» è – scrive Bauman – «la paura diffusa, sparsa, indistinta, libera, disancorata, fluttuante, priva di un indirizzo o di una causa chiari; la paura che ci perseguita senza una ragione, la minaccia che dovremmo temere e che si intravede ovunque, ma non si mostra mai chiaramente. “Paura” è il nome che diamo alla nostra incertezza, alla nostra ignoranza della minaccia, o di ciò che c’è da fare». Non ci sono parole migliori per definire la condizione della società d’oggi, attanagliata dall’angoscia per il terrorismo.

L’Occidente si era illuso di essersi lasciato alle spalle le paure che avevano pervaso la vita in passato: oggettivamente le persone che abitano la parte più ricca e modernizzata del mondo sono, nella storia dell’umanità, le più al sicuro contro le forze della natura e la debolezza congenita del corpo. Proprio noi, che godiamo di sicurezze senza precedenti, viviamo però in uno stato di costante allarme, incrementato dalla minaccia terroristica. Aprendoci gli occhi davanti alle nostre paure, Bauman compie il primo passo sulla strada da percorrere per riemergere da questa situazione di minaccia globale, più forti e sicuri di quanto noi siamo mai stati.

Vengono da Papa Francesco le parole che più confortano le nostre giornate piene di ansie. Alle Giornate mondiali della gioventù, Bergoglio prima ha ripetuto l’amara constatazione di un mondo in guerra, poi ha lanciato un messaggio di speranza: riecheggiando le parole di Giovanni Paolo II, ha sollecitato a non avere paura, «perché Dio è grande, Dio è buono e tutti noi abbiamo qualcosa di buono dentro». Lo stesso Bauman riconosce: «Ascoltiamo troppo poco Papa Francesco. La sua strategia, benché a lungo termine, è l’unica vera soluzione».

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