Quando il Novecento
si studiava alle medie

Quando, nel 1975, Montale vinse il Nobel per la letteratura, chi scrive frequentava le medie: l’illuminata insegnante di italiano non solo dedicò al sommo poeta italiano del Novecento splendide ore di lezione, ma assegnò, a ragazzini tra i 12 e i 14 anni, lo studio a memoria di meravigliose poesie, come «Meriggiare pallido e assorto», «Cigola la carrucola del pozzo», «Spesso il male di vivere ho incontrato». In Storia si parlava di Hitler, di Stalin e dei totalitarismi del Novecento, si sapeva tutto del mondo diviso in due blocchi, Nato e Patto di Varsavia, e dei Paesi non allineati. Un’attenzione particolare era riservata anche al dissenso nei regimi comunisti, per esempio al movimento di Charta 77.

A casa si leggeva «La Rosa Bianca» di Inge Scholl, la storia del movimento giovanile di opposizione al nazismo. Per la verità, già il nostro maestro elementare, un «nostalgico», com’erano definiti allora, ci aveva intrattenuto a lungo su Mussolini e il fascismo. Non basta. L’insegnante di educazione artistica delle medie ci esercitava a disegnare osservando le opere di Klee (1879-1940) e ci portò a vedere, a Lecco, la mostra sul naturalismo lombardo da Gola (1851-1923) a Morlotti (1910-1992). L’insegnante di musica ci spiegava la differenza, non da poco, tra una serenata di Mozart e una canzone dei Pooh, che già allora furoreggiavano.

Tutto questo avveniva in una scuola media statale, come altre, della città di Bergamo, la «Petteni» di via Fornoni, nella seconda metà degli anni Settanta. Quei tre anni di media ci hanno lasciato un’impronta superiore persino a quella del blasonato, e un po’ supponente, liceo Sarpi, frequentato di seguito. Per non parlare dell’esperienza universitaria: viste le premesse, del tutto deludente.

Il dibattito odierno sul Novecento nell’ultimo anno dei licei ci lascia basiti. Ma come? Nel 2017 non si studia ancora il Novecento a scuola? Lo bazzicavamo già noi negli anni Settanta alle medie!

Com’è noto il ministero ha avviato la sperimentazione per ridurre gli anni delle superiori in Italia da cinque a quattro. Il critico letterario Alberto Asor Rosa ha scritto: «Invece di diminuire i corsi di un anno, si tratta di far entrare un secolo in più nei programmi». Davide Brullo ha replicato che una scuola moderna non significa meno Petrarca e più Cognetti: «Piuttosto che abbracciare certa modernizzazione, è meglio tenere il muso nel Medioevo; mai secoli bui furono più illuminanti».

Cent’anni fa iniziava l’ultima fase della Prima guerra mondiale, Pirandello firmava la commedia «Così è (se vi pare)», Freud il saggio «Introduzione alla psicoanalisi». Oggi i programmi di Storia di quinta liceo si fermano ancora, il più delle volte, al Muro di Berlino, quelli di letteratura a Calvino. Come trenta o quarant’anni fa. Senza considerare che la fisica, come avvertono gli insegnanti della materia, si ferma alle scoperte di Einstein, che vinse il Nobel nel 1921. I centovent’anni che, ormai, ci separano dall’inizio del Novecento non sono entrati a pieno titolo – anzi spesso non entrano per niente – nei programmi scolastici. Qualche decisivo passo avanti, in tutte le materie, bisognerà pur compierlo.

Il problema, forse, è un altro. Che si motivino gli insegnanti. In Italia la professione docente è stata progressivamente svilita. Gli stipendi degli insegnanti delle superiori oscillano tra 24 mila euro lordi annui, quando sono immessi in ruolo, a 39 mila alla fine della carriera. Il confronto con gli altri Paesi europei è impietoso. In Germania si parte da uno stipendio minimo di 48 mila euro, in Belgio da 38 mila, ma anche la Spagna ci batte: il minimo è 31 mila. Nella classifica Ocse, l’Italia si trova al 16° posto, ben al di sotto della media. Non è solo un problema di retribuzione, ma di autorevolezza. Da riconquistare sul campo.

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