Brignano, il dramma di Cristina:
«Ho perso il papà e il marito»

La vedova dell’appuntato dei carabinieri Claudio Polzoni racconta i terribili giorni del lutto. «Ora mia figlia di 10 anni mi dà coraggio».

Un ultimo sguardo prima che salisse sull’ambulanza, poi non l’ho più visto». A parlare è Cristina Magni, 37 anni, di Brignano Gera d’Adda. A causa del Coronavirus in una settimana ha perso gli uomini della sua vita. Prima il papà e poi il marito Claudio Polzoni di 46 anni, appuntato dei Carabinieri del Comando provinciale di Bergamo.

Una sequenza e una rapidità da lasciare senza fiato. Una crudeltà che leggi chiaramente negli occhi della giovane mamma, stanchi e gonfi di lacrime. Cristina ci accoglie nel giardino di casa, ben curato. Mascherina, guanti, distanza di sicurezza. Anche lei era positiva e il virus che si è insinuato nella sua famiglia («ma per fortuna Anna, mia figlia, non si è mai ammalata») ha lasciato ferite inguaribili. Una donna esile, stanca, con voce e viso da bambina.

«Tutto è cominciato quando il papà ha iniziato a stare molto male. Lo hanno ricoverato ma non c’era posto in terapia intensiva e il solo ossigeno poteva non bastare. Sono andata a trovarlo e almeno sono riuscita a dirgli “Papà ti voglio bene” ».

«Nemmeno un saluto»

Cosa che purtroppo non ha potuto fare con il marito Claudio che ha iniziato a stare male una settimana dopo. «Credevamo che fosse solo influenza, ma la situazione peggiorava di giorno in giorno. Di ora in ora. Fino a quando una sera Claudio stava male, non respirava. Ho chiamato l’ambulanza una prima volta, ma il medico al telefono ha deciso che non aveva bisogno di ricovero. Ha voluto parlare con Claudio e alla fine ha deciso che respirava abbastanza bene».

«Col senno di poi – ricorda Cristina – avrei dovuto impormi, urlare, fargli capire che sbagliava, ma ho rispettato la decisione del medico. E ora me ne pento. Continuo a ripensarci. Claudio è rimasto a letto a dormire, io sul divano con Anna, come ormai facevamo da settimane per via dell’isolamento. Ma al mattino l’ho trovato malissimo. Non respirava. Ho chiamato di nuovo l’ambulanza e questa volta sono venuti a prenderlo».

Cristina si regge appoggiandosi al palo del gazebo, singhiozza e ricorda. «Tutto veloce. Ero concentrata sulle operazioni dei sanitari. Avrei voluto dirgli tante cose, anche rassicurarlo. Ma in quel momento lì invece non ci siamo detti nulla, ci siamo solo scambiati uno sguardo. L’ultimo. Nei giorni successivi avevo sue notizie solo grazie all’interessamento del colonnello Paolo Storoni che chiamava il medico e mi aggiornava. Poi una sera è andato in arresto cardiaco. Io non ho più visto Claudio».

«Vivo per mia figlia»

Cristina ora vive per la figlia Anna, di 10 anni. «In verità è lei che fa coraggio a me. È tutto quello che ho. So cosa sta passando perché anche io a 9 anni ho perso la mamma. Anna non voleva credere che il suo eroe, il papà carabiniere, non ci fosse più. Ha voluto che venisse il colonnello a dirglielo. E gli ha regalato un disegno con la scritta ”Grazie Carabinieri”». Il disegno è lì, sul tavolo nell’ufficio del comandante Storoni. È la prima cosa che si vede entrando. «I colleghi di Claudio mi stanno vicino -. Quando dicono che l’Arma è una famiglia è proprio vero. Io però vorrei riavere la mia famiglia».

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