Da Redona a Pittsburgh
Riccardo, il sogno del calcio

Quasi tutti i bambini italiani sognano di diventare calciatori. Un pallone, 10 compagni, il profumo dell’erba e una folla in delirio che ti acclama. Riccardo, questo sogno, il suo, ha deciso di continuare a rincorrerlo, insieme a un pallone, in America, la patria dei sogni. «È iniziato tutto l’estate di due anni fa, quando mi ha contattato Nicolò Baudo, chiedendomi se volessi sostenere un provino per avere una borsa di studio che mi avrebbe permesso di giocare a calcio negli Stati Uniti. Ovviamente ho accettato».

Riccardo Rota ha 22 anni ed è originario di Bergamo, quartiere Redona. Dopo aver fatto la trafila delle giovanili tra Pergocrema, Sarnico, alcune piccole parentesi tra Atalanta e Brescia e aver militato anche nella nazionale U12, ha giocato poi qualche anno tra Serie D (Aurora Seriate e Pontisola), Eccellenza (Caprino) e Promozione (Forza e Costanza). Poi, ad agosto 2018, la partenza.

«A Padova, ai provini, c’erano 200 ragazzi e ne hanno presi 11, compreso me. Sono stato selezionato dalla Robert Morris University di Pittsburgh, dove, grazie alla borsa di studio di 3 anni, posso giocare per la squadra del college nella Ncaa Division1 e contemporaneamente studiare sport management e business relativo allo sport. Per me era un’occasione imperdibile: studiare e inseguire il mio sogno di giocare a calcio a livello professionistico, due cose che in Italia si fa davvero fatica a coniugare». Riccardo è un attaccante e nella prima parte di stagione americana, sino ad ora, ha giocato, nonostante la pubalgia, 8 partite siglando un gol e vincendo anche un «Rookie of the week», il premio per il migliore giocatore della settimana, della sua conference. Ma non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore, un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia, come dice De Gregori. Qualità che Riccardo ha, soprattutto il coraggio. «Andare dall’altra parte del mondo, da solo, per inseguire il proprio sogno non è stato affatto facile. Soprattutto i primi mesi. Non conoscevo nessuno qui, non sapevo la lingua e non avevo mai vissuto da solo. Però ho imparato tanto. Ho imparato a stare al mondo, a viaggiare da solo, a contare le persone importanti sulle dita di una mano e ad ascoltare gli altri. Mi sta servendo tanto e so di essere fortunato a vivere questa esperienza che altri mille ragazzi vorrebbero vivere. Qui è tutto molto bello, anche se diverso. Hanno infrastrutture che in Italia possiamo solo sognare e anche nei college le partite vengono viste in tv e i giocatori hanno tutto personalizzato, anche io, come per il numero. Io ho preso il 21».

Una scelta non banale, che ha un legame con la fantasia del calcio italiano. «In qualche modo è un omaggio a Pirlo. Lui ha finito qui negli Stati Uniti la sua carriera e io stavo iniziando. E poi è un giocatore che ho sempre amato, come ho sempre amato anche Del Piero, a cui mi ispiro, seppur io sia atalantino, sia come giocatore, che come uomo, perché anche fuori dal campo è davvero una persona eccezionale». Una scelta, quella di prendere la 21, fatta senza arroganza, anzi, con tanta umiltà, quella che la famiglia gli ha sempre insegnato. «Mia madre Melania e mio padre Duilio sono sempre stati degli sportivi e mi hanno insegnato che bisogna sempre lavorare duramente e essere umili. Mio padre mi ha trasmesso tanta umiltà e passione, mi ha sempre detto di non pensare ai soldi, ma prima alla passione per ciò che faccio, ed è veramente stato importante sentirmelo dire costantemente. Anche mio nonno Enrico e mia zia Stefy, che oggi non ci sono più, sono state due persone importanti per il mio percorso: mio nonno, tifoso atalantino, mi diceva sempre “prima la scuola poi il calcio” e mia zia mi ha insegnato che l’umiltà e l’onestà vengono prima di tutto. Per questo oggi sono cosciente che non ho ancora fatto nulla e non voglio bruciarmi credendomi chissà chi. Ho voglia di arrivare, certo, e magari ce la farò, oppure no, ma la voglia di far bene c’è sempre, con i piedi a terra. Voglio godermi il momento, questa esperienza, lavorare tanto e continuare a inseguire il mio sogno di diventare calciatore professionista».

Famiglia e affetti che Riccardo, ora, riesce a sentire costantemente nonostante la distanza, ma di cui comunque sente la mancanza. «Grazie ai mezzi di comunicazione riesco a sentire i miei genitori ogni giorno. Così come la mia fidanzata e mio fratello Davide. Mi aiutano tutti molto e sono stati i primi a crederci e a sostenermi in questo mio percorso, soprattutto durante i primi tempi che sono stati davvero duri per me. Anche i miei amici, quelli veri, li sento spesso. Devo dire che avere il sostegno dei miei cari costantemente mi rende un po’ meno difficile la lontananza, anche se mi mancano tutti qui». Per il futuro, quindi, Riccardo ha un obiettivo ben preciso, ma si sta costruendo anche delle alternative valide. «Finiti i tre anni qui sono aperto a qualsiasi opportunità. Certamente io punto a giocare in Mls, visto che il nostro campionato è sempre monitorato dalle squadre della lega maggiore e sforna spesso talenti che finiscono nelle squadre di quella che è l’equivalente della nostra serie A, e farò di tutto per mostrare le mie qualità e farcela. Ma, se non dovessi riuscirci, sono aperto ad altre possibilità, come lavorare in America in un altro ambito, visto quello che sto studiando. Così come non mi precludo di poter tornare in Italia. Per ora, però, sono qui, e anche se non dovessi farcela penso sempre che ho fatto 3 anni di esperienza negli Stati Uniti, ho giocato a pallone e imparato una nuova lingua. Nel caso cercherò altre vie per essere un professionista sia in ambito lavorativo che calcistico e, chissà, magari, un giorno, giocare, segnare ed esultare nello stadio dell’Atalanta, a casa mia, da atalantino e bergamasco, davanti ai miei amici e partenti. Sarebbe davvero un sogno che si realizza».

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