Da Kabul all’Australia
«Ma casa è Bergamo»

«Sin da quando ero bambino mia madre mi ha sempre detto che non so stare fermo. Ed è vero. Più di qualche anno non so stare nello stesso posto, mi sta stretto». Marco Henry, 50 anni, spiega così i suoi 13 anni da giramondo per lavoro. «Anche se mio padre era belga e mia madre è veneta, io mi sento bergamasco doc: ho vissuto a Bergamo dall’età di sette anni, dopo essere nato a Milano, ho frequentato lì le scuole, lì ho amici e parenti, ho sposato una bergamasca e ho anche un marcato accento bergamasco di cui vado molto orgoglioso. Per me casa è Bergamo».

Marco, finito il servizio militare, nel 1989 ha iniziato a lavorare per una ditta di trasporti bergamasca. «Dirigevo la divisione Trasporto auto di Zaninoni, ma poi la ditta nel 2006 è fallita e io ho iniziato a viaggiare per lavoro. La prima esperienza lavorativa all’estero è stata un po’ particolare: ho lavorato un anno e mezzo a Kabul, in Afghanistan, durante la guerra. Facevo parte della missione internazionale, e mi occupavo di trasporti e logistica per il contingente italiano».

Un’esperienza forte, da cui è nato il libro «Un Anno in Afghanistan», pubblicato da «Newton Compton». «È stata l’esperienza più intensa della mia vita lavorativa. Non a caso poi ne ho scritto un libro. Sono arrivato a Kabul nel momento più caldo della guerra e mi sono occupato della logistica dei trasporti di tutto il contingente italiano. Lavorativamente parlando è stato molto sfidante, visto i moltissimi problemi, come la mancanza di infrastrutture, elettricità e linee telefoniche. Gino Strada ha definito Kabul la città più sfortunata del mondo, e io concordo a pieno. Ci sono inverni molto rigidi e estati molto torride. È un paese davvero difficile dove vivere e ti fa apprezzare ancora di più di essere nato in un paese bello come l’Italia. È stato molto difficile vivere quei momenti in cui venivano avvisati che una bomba esplosa aveva colpito i nostri soldati. Il brutto di vivere a Kabul durante la guerra è che ogni giorno poteva succedere qualcosa: c’erano attacchi kamikaze, bombe a lato della strada e muoversi era molto pericoloso. Poteva succedere a me o a chiunque, si trattava solo di essere nel momento sbagliato nel posto sbagliato».

Una situazione di pericolo, quindi, anche personale. «Ero esposto a dei pericoli. In particolare ricordo quando l’abitazione dove abitavano è stata attaccata da dei razzi ed è stata parzialmente distrutta mentre dormivamo all’interno. È stato molto duro. Come duro è stato non poter raccontare quasi nulla a casa, ma sapere che mia moglie, mio figlio (Marco ha sposato, nel 2000, Rossana Bonfanti, di Pedrengo, e nel 2001 i due hanno avuto un figlio, Gianluca) e i miei genitori vedevano le immagini di ciò che accadeva a Kabul e che questo li facesse essere davvero preoccupati». Dopo l’esperienza in Afghanistan, Marco ha prima lavorato per 6 mesi per le Nazioni Unite in Congo (dove le Nazioni Unite avevano programmi di assistenza di reintegro di bambini soldato), per poi girare l’Europa, lavorare un anno in Cina e, infine, da 1 anno e mezzo si è trasferito con tutta la famiglia in Australia.

«Prima di trasferirci in Australia, lavoravo per “Ceva Logistics” in Italia, società multinazionale di trasporti e logistica. Mi hanno offerto la possibilità di spostarmi con tutta la famiglia a Melbourne e ho accettato, anche e forse soprattutto perché desideravo da un po’ di tempo che mio figlio abitasse per qualche anno all’estero, per dargli la possibilità di vivere un’esperienza diversa rispetto a quella italiana, per farlo sentire cittadino del mondo e fargli imparare la lingua inglese. È la prima volta che mi trasferisco per la lavoro con tutta la famiglia, ma era il momento giusto. In Australia dirigo “Ceva Car Carrying”, la società di trasporto auto del gruppo, con 7 filiali e 500 dipendenti, e farlo qui è estremamente interessante per via della natura geografica australiana. L’Australia è più grande dell’Europa ma ha solo 25 milioni di abitanti, tutti concentrato nelle 5-6 città principali e poi c’è poco altro. Da Melbourne, a Sud, a Darwin, a Nord, c’è la stessa distanza che da Lisbona a Mosca. Viaggiare per l’Australia vuol dire viaggiare in mezzo al nulla, che è bellissimo, ma devi considerare tante cose, come quanto carburante hai con te perché magari il prossimo distributore si trova a 500 chilometri di distanza. E dal punto di vista del mio lavoro questo significa non poche sfide».

Vivere in Australia ha portato sfide e cambiamenti non solo per Marco, ma per l’intera famiglia, che, però, si trova molto bene nel nuovo Paese. «L’impatto per una famiglia italiana che si trasferisce in Australia è molto particolare. Gli australiani si considerano easy, la vita qui è più rilassata come lavoro e come ritmi, e noi bergamaschi fatichiamo ad adattarci a questo tipo di vita così tranquillo. Un’altra difficoltà è la lingua, visto che qui parlano un inglese con un forte accento, tante abbreviazioni e tanti acronimi e modi di dire e si fa molta fatica a capire quello che dicono. Per il resto vivere in Australia è una grande scoperta perché è un paese così grande che si passa a climi diversi da una zona all’altra ed è un paese multiculturale che ci fa sentire a nostro agio».

Certo, gli amici e i parenti mancano, così come l’Italia e Bergamo. «Sentiamo la mancanza di casa. Di Bergamo mi mancano i giri in moto sulle mura il sabato mattina e le visite settimanali alla libreria “Legami” in piazza Pontida, dove ormai mi conoscono tutti. Ci mancano anche gli affetti e per questo cerchiamo di tornare almeno una-due volte l’anno, anche se il viaggio è costoso e lungo». In un futuro, Marco spera di tornare stabilmente nella Bergamasca. «Vivere così lontano da casa è difficile e il mio desiderio è quello di tornare definitivamente in Italia un giorno, nella nostra casa di Albano Sant’Alessandro. Il problema sarà trovare una collocazione in Italia adeguata a quanto ho fatto e faccio a livello lavorativo. Ora, però, siamo qui in Australia e penso a questa esperienza, felice dell’opportunità che stiamo dando a nostro figlio».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA