Diploma all’istituto Pesenti
Ora manager a Dayton, Usa

«Ho colto al balzo un’opportunità lavorativa nel lontano 1994 ed eccomi ancora qui». Giovanni Principe, 54enne originario di Gandino, da 26 anni vive negli Stati Uniti, passando prima per Chicago e poi a Dayton, in Ohio, dove risiede attualmente.
«Sono diplomato come tecnico delle Industrie meccaniche presso l’Ipsia Cesare Pesenti – racconta il gandinese –, e dal 1989 ho lavorato per la Gildemeister Italiana di Brembate Sopra, in qualità di tecnico multimandrino, costruendo, attrezzando e riparando un tipo di tornio automatico. Uno strumento che serve alla produzione ad alto volume di particolari in metallo e non-metallo, destinati a vari usi, come l’industria automobilistica, oleodinamica, difesa, comunicazione e altri campi dove questo tipo di produzione è richiesta. Ho colto l’occasione di venire in America quando un’azienda americana ha acquistato un grande numero di macchine, che dovevano essere installate. Così sono partito, e oggi ricopro il ruolo di Regional Sales Manager per Mikron, azienda con sede a Lugano, che si occupa di macchine utensili per la produzione di particolari di precisione in alto volume».

Una ventina di anni nei dintorni di Chicago, e poi il trasferimento nel 2005 a Dayton, dopo aver accettato una posizione di project manager per un’azienda della città. «Chicago è una città molto attiva – sottolinea il 54enne, che vive con la moglie Consuelo, anche lei di Bergamo –, la quale tra l’altro è gemellata con Milano. Molto fredda in inverno, nel 1994 siamo arrivati a -45 gradi, mentre d’estate molto umida con picchi di 35 gradi. A Chicago c’è il centro di molte aziende e molta densità di popolazione. Non siamo ai livelli di New York City ma diciamo che, nonostante sia una grande città, è più vivibile rispetto alla Grande Mela. Dayton invece è una città più piccola di Chicago, paragonabile a Bergamo. In questa città sono state realizzate molte invenzioni: l’aereo, il motorino di avviamento dell’automobile, la candela del motore a scoppio, l’apertura a strappo della lattina e il registratore di cassa (Ncr), sono tra le scoperte più famose».

«Abbiamo la base di aeronautica militare più grande e famosa del mondo, Wright Patterson Air Force Base – dice –, con più di 25 mila persone che ci lavorano, e il museo di aeronautica militare più grande del pianeta. Nel passato questa era la seconda Detroit siccome c’erano molte fabbriche di automobili mentre adesso l’industria si è convertita verso il medicale e l’aeronautica».

«La gente qui è molto pratica e modesta, e quindi riflette molto quella di Bergamo, forse questo è uno dei fattori che ha fatto sì che mi affezionassi a questa città. Per anni è stata dimenticata, ma adesso con la nuova giunta abbiamo risalito la china ed è molto più vivibile e pulita» spiega.

Una nazione, quella degli Stati Uniti d’America, in cui il 54enne ha avuto modo di visitare diversi stati.

«Ho viaggiato molto – spiega –, e viaggio tutt’ora, soprattutto per lavoro. Prima arrivavo addirittura in Canada e Messico ma adesso, siccome il mercato relativo al mio lavoro è molto impegnativo, viaggio in auto tra Ohio, Indiana, Michigan, Illinois, Wisconsin, Pennsylvania dell’Est, Kentucky. Occasionalmente volo in Connecticut dove c’è l’ufficio americano e poi Svizzera e Germania, dove abbiamo il quartier generale aziendale. Faccio ritorno in Italia invece una o due volte l’anno. A Gandino ho ancora dei cugini, mentre mia sorella vive in provincia di Torino, dove ha un ristorante».

Molte le differenze con l’Italia, soprattutto legate alla cultura culinaria. «La vita come la conosciamo in Italia è molto diversa – sottolinea –: mentre alla fine della giornata in Italia ci si ritrova in piazza a chiacchierare e bere un caffè o farsi l’aperitivo, qua non è cosi. C’è l’happy hour nei bar, ristoranti e pub ma manca il senso di aggregazione popolare che abbiamo nella penisola; questo genere di attività qui è definito come “social drinking”, dove l’attenzione è rivolta più a quello che si beve piuttosto che verso la vita di amici e parenti. Per quanto riguarda il cibo, quando sono arrivato nel 1994 eravamo all’età della pietra; siccome al tempo gli americani non avevano ancora familiarizzato con le nostre pietanze, nei ristoranti “italiani” bastava ricoprire la pasta con una betoniera di sugo al pomodoro per presentarlo come “italian dinner”. Qualcosa di inaffrontabile. Così, per risolvere il problema, mi sono attrezzato cucinando a casa, con ingredienti naturali, oppure andando in ristoranti non italiani. Adesso la scena culinaria è cambiata di molto: si importa sicuramente più cibo italiano e, grazie alla comunicazione, il pubblico ha raffinato il suo palato. Per quanto concerne il mondo del lavoro invece, qui si è più diretti e i problemi vengono analizzati in modo pragmatico e statistico: la nostra esperienza lavorativa si sposa con il dinamismo americano; qua non importa chi sei, ma cosa fai e come lo fai. Non ci si ferma mai e questo è in linea con la mentalità bergamasca».

«Di casa – prosegue –, sento la mancanza degli amici, dei casoncelli e del silenzio astrale che c’è a Gandino. Di qui apprezzo invece la possibilità di muovermi per il Paese, lo spazio personale, il fatto di vivere in una casa con un giardino, la quale mi permette di tenere una sana distanza tra me e i miei vicini, e la possibilità di fare carriera. Qui vivo con mia moglie Consuelo, che ho conosciuto a Bergamo, e i nostri quattro gatti. Al momento non farò ritorno in Italia, ma siccome dovrei andare in pensione fra 12 anni, a questa domanda preferisco rispondere fra una decina di anni».

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