«Il primo studio a casa dei nonni
poi il Royal College of Art a Londra»

«Ho sempre avuto la passione per le materie creative fin da quando ero bambino – racconta Luca Longhi, 27 anni, pittore, originario di Bergamo –. Mi è sempre piaciuta arte e immagine a scuola o andare alla ludoteca dell’oratorio dell’Immacolata per i laboratori. Mi piaceva perché avevo la possibilità di fare qualcosa con le mie mani senza troppe regole e potevo portare a casa un lavoretto o un regalo per la mia famiglia fatto da me. Alle medie, poi, venne a mancare mio nonno. E credo che il mio interesse per l’arte in particolare cominciò in quel periodo. Fu automatico il bisogno di potermi esprimere in quel momento, che fu per me molto traumatico. Non sapevo quello che facevo e quello che potevo fare, ma mi faceva stare bene».

Essere un artista oggi non è facile. Svolgere un lavoro creativo è spesso considerato non essenziale. E, almeno all’inizio, quando prendi coscienza di che cosa vuoi diventare, i dubbi, soprattutto derivanti dall’esterno, si insinuano anche dentro di te. Luca lo sa bene. «A fine maturità, tra sconsigli, professori contrari e prese in giro decisi, però, di buttarmici dentro fino in fondo. Così, nel 2014, mi sono trasferito a Londra per cominciare i miei studi universitari. Ho conseguito due lauree: la triennale, alla University of Arts London (seconda migliore università al mondo per l’arte), nel corso di Fine Art Painting (belle arti e pittura) e subito dopo un master di due anni con specializzazione in pittura, alla Royal College of Art in London (prima migliore università al mondo per l’arte)».

Un talento e un bisogno, quelli di Luca, che hanno trovato il proprio posto in un ambiente fertile, come quello artistico londinese. «Non è stato semplice né accedere ai corsi di laurea, per i quali, essendo a numero chiuso, ho dovuto affrontare diversi step di selezione, né ambientarmi. La lingua diversa era una complicazione e Londra è una città grande e dinamica, che ti fa sentire la solitudine facilmente, e le amicizie vanno e vengono qui. Io mi ritengo fortunato, però, perché, oltre a migliorare col tempo l’inglese, sono anche riuscito a stringere amicizie durature e a conoscere la mia fidanzata».

Il percorso universitario e lavorativo, invece, fu da subito un crescendo. «Il triennio fu fantastico, l’università fin dall’inizio mi assegnò un posto per poter dipingere e i professori furono disponibilissimi. Cominciai anche a lavorare. Grazie a un mio professore che mi chiese se ero interessato ad assistere un artista qui a Londra. Ovviamente risposi di sì. E tra passa parola e amicizie varie, cominciai ad assistere negli studi diversi artisti. Il Master, poi, fu una delle esperienze più belle della mia vita. Il livello di arte degli studenti era altissimo, come quello del corso e dei professori, che erano tutti artisti affermati. Fu davvero una bella sfida e il mio lavoro cambiò molto: il primo anno fui praticamente distrutto artisticamente dai professori e poi piano piano qualcosa nel mio lavoro cominciava a ingranare, i miei interessi diventarono più sinceri e i miei quadri miglioravano. L’ultimo esame prima di concludere il Master, è una mostra in estate, il Degree Show. L’università si trasforma in una galleria gigante. È una mostra aperta a tutti, galleristi, collezionisti e persone del mondo dell’arte vengono e cercano nuovi talenti per il loro bacino. Il livello dei quadri deve essere molto alto, perché c’è in gioco la tua reputazione e gli ultimi mesi di corso si focalizzano solo ed esclusivamente su questa mostra. Passai l’esame e la mostra andò bene. Vinsi anche un premio chiamato “Hine Painting Prize” (assegnato dall’azienda francese produttrice di Cognac, Hine) con “Via Cavour 6a”, un lavoro connesso a una osservazione attenta di un luogo intero e di uno spazio privato. Ho usato piastrelle e legno, per un lavoro più scultoreo che dipinto nonostante sia appeso a un muro. Per questo quadro, mi ero ispirato alla casa dei miei nonni, nonché il mio primo “studio” a Orio al Serio. Un luogo che ho sempre trovato sincero e che con gli anni non ha mai cambiato attitudine o aspetto ed è sempre rimasto vero nel suo modo».

Finita l’università, Luca ha deciso poi di rimanere a Londra e ora lavora in uno studio ad Hackeny wick (East London). «Devo ringraziare i miei genitori e mio fratello che mi hanno sempre sostenuto. Qui ora ho grandi amici, la mia ragazza, il mio studio, un mestiere e sono molto contento». Il futuro, per Luca, considerando anche la Brexit e la situazione Covid-19, è sempre in divenire. «Io credo che l’artista sia propenso a sentire una necessità o un bisogno di voler rispondere a delle domande interpersonali o sociali attraverso un mezzo. E il risultato è quasi sempre una visione intima e personale di ciò che lo circonda. Credo che uno dei doveri dell’artista sia di portare (o almeno provarci) dei cambiamenti e influenzare il mondo in cui vive. Io sono un pittore, quindi per esprimere le mie idee e ricerche, utilizzo come punto di partenza un metodo e un tipo di linguaggio visuale e bidimensionale. Oltre che dipingere in studio, però, ci sono tanti altri lavori che sono importanti da fare: preparare le tele, ordinare i materiali, fare ricerca, progettare, disegnare e scrivere. Bisogna poi preparare lo studio per i collezionisti che vengono a vedere i nuovi lavori, fare le foto dei quadri, organizzare le mostre e applicarsi a vari concorsi».

«Durante il lockdown, che ho vissuto con preoccupazione per ciò che stava accadendo a Bergamo, tutto intorno a me si era fermato – conclude Luca –. E c’era davvero poco da fare. Ma per la prima volta dopo tanto tempo non mi sentivo in colpa ad annoiarmi. Nella noia ho ritrovato la spinta per cominciare un grosso lavoro interiore e di consapevolezza, che mi ha aiutato a riscoprire un equilibrio di pensieri, concetti e materiali molto vicini a me, ma che prima davo per scontato. La vita non tornerà più come prima, ma forse è arrivato il momento di accomodarci in nuovo ambiente, per poter accettare il cambiamento delle nostre abitudini, sensibilità e attitudini».

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