«Qui in Argentina
ho imparato la garra»

Nel gergo calcistico si parla spesso della garra, espressione, traducibile in italiano letteralmente come artiglio e in senso figurato come grinta, usata per indicare uno stile di gioco caratterizzato da grande impegno fisico e forza caratteriale, caratteristiche tipiche del calcio sudamericano. Il quarantunenne Daniele Corsini non è né un calciatore né un sudamericano, è originario di Bergamo infatti, ma di garra, grinta, carattere, ne ha da vendere, anche più di certi calciatori sudamericani, e forse è per questo che da 13 anni vive e lavora in Argentina, con una parentesi di cinque anni negli Stati Uniti. Basta vedere quante volte ha deciso di cambiare vita e ripartire da zero.

Il primo cambio radicale lo ha affrontato a ottobre 2006, quando è partito per Buenos Aires. «Durante gli studi ho vissuto due esperienze estere che mi hanno lasciato il seme della motivazione che mi ha sempre spinto a cercare qualcosa oltre Bergamo e l’Italia: alle superiori sono stato a studiare a Poznan, in Polonia, grazie agli scambi internazionali tra scuole del liceo Mascheroni; all’università, poi, al quarto anno di Ingegneria gestionale a Dalmine, sono andato in Erasmus in Olanda, all’Haarlem University. Finita l’università, nell’estate del 2003, ho “attraversato la strada” e sono stato assunto alla Tenaris di Dalmine come assistente al direttore delle relazioni istituzionali. Poi, dopo un anno e mezzo sono passato nella fabbrica di tubi medi dove mi occupavo della programmazione della produzione della fabbrica stessa. Dopo quasi 2 anni, nel 2006, ho deciso che volevo provare a trasferirmi a Buenos Aires e sono andato a lavorare là per la Tenaris come espatriato da Dalmine con un contratto di 3 anni e dalla programmazione sono passato a occuparmi della pianificazione della produzione».

Un’esperienza voluta, anche se non sono mancate le difficoltà, soprattutto all’inizio. «Non mi ero posto limiti. Poi all’epoca ero giovane ed era la prima volta che lasciavo casa dei miei per vivere da solo, a 11 mila chilometri di distanza, e da Bergamo mi trasferivo in una metropoli, era molto emozionante. A volte mi son sentito solo, non lo nego, e vivere immerso in una nuova lingua non è stato una passeggiata. Ma ci sono riuscito. Mi sono anche comprato i mobili e arredato casa, ormai la mia vita era a Buenos Aires». Il legame di Daniele con l’Argentina, nel 2007, si rafforza ancora di più. «A fine 2007 ho rincontrato Veronica, una ragazza argentina che avevo già conosciuto quando lavoravo a Dalmine e che si trovava in Italia per un’esperienza lavorativa. Ci eravamo già piaciuti all’epoca e dopo esserci rivisti abbiamo deciso di fidanzarci».

Nel 2011 il secondo cambio radicale di Daniele. «Dopo tre anni di fidanzamento con Veronica, sarei dovuto rientrare in Italia perché il mio contratto da espatriato era terminato. E lei doveva trasferirsi a Houston, negli Usa, per lavoro. Così ho detto ai miei capi che mi sarei trasferito a Houston anche io e sono riuscito a rimanere a lavorare in Tenaris, facendomi assumere inizialmente nel settore automotive e poi nella divisione Oil&Gas proprio nell’azienda a Houston. Siamo partiti con la data del matrimonio già fissata e una volta arrivati in America abbiamo deciso di comprare casa, una di quelle classiche dei film con il vialetto che finisce nel garage, per sentirci parte del nuovo luogo in cui avremmo vissuto».

A giugno 2011 Daniele e Veronica si sono sposati in Italia, a Bergamo, in Comune, e a dicembre dello stesso anno si sono sposati di nuovo, ma questa volta in Argentina e in chiesa, essendo entrambi cattolici credenti e praticanti. «È stato un altro inizio elettrizzante, perché non ero più solo io, ma anche con qualche problema, visto che eravamo da soli in un Paese nuovo. A Houston abbiamo affrontato anche due gravidanze, da cui sono nate Giulia, nel 2013, ed Emilia, nel 2015. In quei momenti ho capito due cose: quando sei all’estero ti muovi in un intorno dove ci sono altre persone straniere come te e, visto che vivete tutti la stessa sensazione di lontananza e solitudine, diventano loro la tua famiglia più prossima; e, poi che quando vivi le situazioni un po’ più delicate, nonostante la differenza di cultura e di lingua comunque un vincolo riesci a costruirlo e l’umanità esce».

Nel 2016, però, Daniele, questa volta con la sua intera famiglia, vive il terzo cambio radicale della sua vita. «Dopo cinque anni vissuti a Houston abbiamo pensato che avremmo voluto che le nostre figlie crescessero vicino a una delle nostre due famiglie e così, a maggio 2016, siamo rientrati a Buenos Aires. È stata una corsa contro il tempo tra vendere casa e fare un trasloco internazionale, ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Di nuovo un salto: ci siamo licenziati entrambi e siamo arrivati in Argentina senza nulla, nemmeno i nostri vecchi amici non c’erano più, tutti ripartiti per altre destinazioni. Questa volta è stata tutta la famiglia a doversi ricostruire e a dover ripartire da zero. Io ho ottenuto un Mba alla Iae business school, per poi essere assunto dalla Oracle e dopo due anni mi sono licenziato e ora mi sto mettendo in proprio nel campo della consulenza delle nuove tecnologie, sempre ambito industriale o dei servizi».

Daniele ama l’Argentina, ne è affascinato e gli piace molto vivere a Buenos Aires, ma crede di avere la garra, la grinta, il carattere per fare un nuovo cambio radicale tra qualche anno. «Pensando al futuro, nonostante siano passati degli anni e non abbia orizzonti di tempo, vorrei che le mie figlie avessero una parte della loro educazione in Italia. Quindi non so se quando frequenteranno le Elementari, le Superiori o l’Università, ma, sempre d’accordo con mia moglie (nella foto sopra con le figlie), ci prepariamo oggi per un possibile momento di rientro per un certo periodo in Italia, in particolare a Bergamo».

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