Cartabellotta: «Discesa lenta, copertura vaccinale ridotta. I divieti sono ancora necessari»

Nino Cartabellotta, presidente Fondazione Gimbe: «La circolazione del virus ancora elevata e la copertura vaccinale ridotta non permettono un tracciamento adeguato». Perplessità sul sistema dei colori.

La discesa dei contagi è troppo lenta per intravvedere una riduzione significativa della pressione sugli ospedali nel breve periodo, nonostante il ritorno di molte regioni, tra cui la Lombardia, in zona arancione. Ne è convinto Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe (che si occupa di favorire la diffusione e l’applicazione delle evidenze scientifiche, attraverso attività indipendenti di ricerca, formazione e informazione), secondo cui il sistema a colori adottato per suddividere il Paese in base ai livelli di rischio, ha prodotto pochi risultati rispetto alle aspettative. Con oltre 500 mila italiani attualmente positivi e con il traguardo del mezzo milione di dosi al giorno di vaccini ancora lontano, per pensare alle riaperture Cartabellotta suggerisce «un piano strategico, con priorità basate su criteri espliciti e condivisi con la popolazione».

Presidente, la curva dei contagi sta calando, ma quanto tempo dovrà ancora passare, prima di risollevare in maniera decisiva gli ospedali dalla pressione attuale?

«Per la terza settimana consecutiva il nostro monitoraggio indipendente rileva una lenta discesa dei nuovi casi (-11% nella settimana 31 marzo-6 aprile), anche se la riduzione è sovrastimata per il tracollo dell’attività di testing: 128.141 persone testate in meno rispetto alla settimana precedente e 304.499 in meno rispetto a quella ancora prima. La lentezza con cui scendono i nuovi casi, comunque, insieme alla limitata copertura vaccinale dei soggetti più fragili, al momento non permettono di ridurre la pressione su ospedali e terapie intensive che rimane particolarmente critica in alcune Regioni».

È quindi inevitabile, secondo lei, mantenere misure rigide ancora per tutto il mese di aprile?

«La circolazione del virus è molto elevata nella maggior parte delle Regioni e con oltre 536 mila casi attualmente positivi non c’è alcuna possibilità di riprendere il tracciamento. Inoltre, il livello di pressione ospedaliera è ancora molto elevato: 8 Regioni sopra la soglia di saturazione del 40% per l’area medica e 15 sopra quella del 30% per le terapie intensive. Questi livelli di saturazione rendono più complessa l’assistenza ai malati Covid e “cannibalizzano” i posti letto a scapito dei malati non Covid, rimandando servizi e prestazioni non urgenti».

Si dovevano forse tenere chiuse le scuole?

«Ho sempre ritenuto che durante una pandemia dovrebbero essere le prime a riaprire e le ultime a chiudere, ma servono investimenti per garantire un adeguato livello di sicurezza. In ogni caso, i “margini di manovra” sono molto risicati: infatti, la riapertura delle scuole è stata compensata dalla decisione di non prevedere zone gialle sino ai primi di maggio».

Lei aveva previsto da tempo l’arrivo della terza ondata, che la variante inglese ha senz’altro facilitato. Pensa che questa nuova emergenza sia stata gestita meglio? In altre parole, a distanza di 5 mesi, lei crede che la suddivisione a colori dell’Italia e le relative misure di restrizione abbiano funzionato?

«A ottobre 2020 mentre i casi salivano in maniera esponenziale e si riempivano gli ospedali, sono stati emanati ben 4 Dpcm in 21 giorni. Con quello del 3 novembre è arrivato il sistema delle Regioni “a colori”, ma abbiamo raggiunto picchi molto elevati: quasi 806 mila casi attualmente positivi, oltre 34 mila ricoveri con sintomi e più di 3.800 terapie intensive. Il sistema “a colori” ha evitato il lockdown, ma ha prodotto risultati modesti: a febbraio abbiamo toccato il minimo di attualmente positivi (382 mila), di ricoveri con sintomi (17.725) e terapie intensive (2.043). Ma la terza ondata si è innestata nella fase discendente della seconda con numeri ospedalieri troppo elevati determinando il rapido superamento delle soglie di saturazione nella maggior parte delle Regioni. E dopo 5 mesi i benefici del sistema delle Regioni “a colori” sono sempre più “appannati” dal blocco di alcuni settori, dalla tensione sociale conseguente alla limitazione delle libertà individuali, oltre che da un senso di sfiancamento generale. E allora, non era meglio come proposto dalla Fondazione Gimbe e da altri scienziati un lockdown duro di 3-4 settimane subito dopo le feste natalizie? Ecco perché serve un piano strategico per guidare le riaperture con priorità basate su criteri espliciti e condivisi con la popolazione. Ma soprattutto guidato dalla consapevolezza che, nell’impossibilità di piegare la curva per riprendere il tracciamento, questa tende inesorabilmente a risalire non appena si allentano le misure. Emblematico il caso Sardegna: dopo 3 settimane di ambita zona bianca è passata direttamente all’arancione e poi ancora in zona rossa».

L’uscita dalla pandemia è legata all’efficacia della campagna vaccinale. Quando pensa che riusciremo ad arrivare al ritmo di 500 mila vaccinazioni al giorno?

«Il primo collo di bottiglia sono le forniture. Nel primo trimestre sono state consegnate quasi il 90% delle dosi previste dal Piano vaccinale, ma la prima versione ne prevedeva ben 28,3 milioni. Il secondo ostacolo è l’irregolarità delle consegne: circa un terzo delle forniture del primo trimestre (4,37 milioni di dosi) sono arrivate dal 22 marzo al 4 aprile. Infine, c’è la capacità di somministrazione delle Regioni: nel periodo 1 marzo–6 aprile sono state somministrate in media 193.021 dosi al giorno (range 93.612–294.187), con un tracollo nei giorni festivi che attesta la necessità di ulteriore personale. In sintesi, tra tagli alle forniture, temporaneo stop ad AstraZeneca e consegne trimestrali “last minute”, gli obiettivi del piano Figliuolo per il mese di marzo (210 mila somministrazioni al giorno entro metà mese e 300 mila entro il 23 marzo) sono già saltati e le 500 mila al giorno dal 15 aprile al momento sono solo un miraggio».

Il Governo ha preso provvedimenti sulla questione dei medici che rifiutano il vaccino. Lei pensa che sarà necessario intervenire anche sulla popolazione, vista la diffidenza dimostrata soprattutto da alcune fasce di giovani?

«L’obbligatorietà della vaccinazione dipende da diversi fattori e valori costituzionali, come la salute pubblica e la libertà personale. Ma la vera sfida non è l’obbligatorietà della vaccinazione, quanto una comunicazione istituzionale efficace per informare i cittadini e renderli pienamente consapevoli dei rischi che corrono rifiutando un vaccino sicuro ed efficace».

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