Come sarà l’estate sulle Orobie?
I rifugisti: servono regole per riaprire

Una delle valanghe peggiori che ci sia mai capitato di vedere: così descrive il Covid 19 Paolo Valoti, presidente del Cai di Bergamo. Una valanga che anche i rifugisti delle strutture orobiche si stanno organizzando per superare.

«In quest’occasione – racconta il presidente del Cai di Bergamo Paolo Valoti – abbiamo scoperto che tutti i rifugisti sono tecnologici: ci siamo virtualmente incontrati tutti insieme per riflettere su una possibile prossima stagione. Ho potuto apprezzare che tutti sono molto informati rispetto a decreti e prescrizioni, tant’è che coloro che erano aperti a fine febbraio, appena si sono resi conto delle difficoltà a garantire il rispetto delle regole, hanno chiuso le strutture».

Sui prossimi mesi non ci sono certezze. «Ci si sta preparando – continua Valoti - a gestire l’afflusso con particolare attenzione, perché è chiaro che quella che era una caratteristica e un valore dei rifugi prima, cioè lo stare vicini, il dormire nelle camerate, dovrà essere rivalutato e affrontato come criticità. Gestire, insomma, la stagione all’insegna di una permanenza prudente nelle strutture».

Sul tema si stanno interrogando anche la Commissione medica del Cai e l’Osservatorio per le Montagne Bergamasche. «Per cercare di dare un contributo – conclude Valoti – a interpretare e contestualizzare le prescrizioni generali, perché immaginiamo che non ce ne saranno di precise riferite ai rifugi». Così i rifugisti hanno iniziato a organizzarsi. «Stiamo cercando spunti – spiega il gestore del Curò, Fabio Arizzi – su quello che potrà succedere nei prossimi mesi, consultando le direttive Oms oppure le indicazioni di Federalberghi. Per quanto riguarda la regolamentazione a livello sanitario non credo ci saranno problemi. Probabilmente dovremo ridurre i posti letto disponibili, e lo stesso succederà in sala da pranzo. Nulla di insormontabile se ognuno si impegnerà un po’ facendo la propria parte». Il problema più gravoso, però, sarà legato al significato racchiuso nella parola rifugio: «Le nostre strutture – continua – ospitano gli escursionisti in momenti di difficoltà, per esempio durante un temporale improvviso. Sono quelli i momenti in cui all’interno dei rifugi entra molta gente, ma è quello il senso del nostro essere lì: dare aiuto a chi si trova in difficoltà. Sarà sicuramente un aspetto delicato da gestire perché non potremo lasciare entrare tutti. Dire “no” sarà la parte più difficile».

La situazione generale è di incertezza: generalmente la maggior parte dei rifugi apre proprio in queste settimane. «Abbiamo tutti il piede alzato – aggiunge Maurizio Nava, del rifugio Laghi Gemelli -. Tutto dipende dall’evolversi della situazione e dalle disposizioni che ci saranno. Speriamo che almeno per noi bergamaschi ci sia la possibilità di spostarsi nelle nostre zone. Per quest’anno abbiamo già cancellato le prenotazioni degli stranieri. Il problema sarà mantenere le distanze nelle strutture: in ambienti piccoli e spartani si fa davvero fatica. I rifugi difficilmente riescono a lavorare sulle prenotazioni, quindi sarà una bella sfida. Per il mese di maggio crediamo sarà impossibile riaprire, speriamo invece che la possibilità venga concessa a giugno». L’impressione, un po’ ovunque, è che la voglia di tornare in montagna sia tanta.

«Nel frattempo ci stiamo muovendo per sanificare gli ambienti– dice Sandra Bottinelli, che con Chicco Zani gestisce l’Albani, in Valle di Scalve -, cercando di acquistare generatori di ozono. Di certo, considerando i contatti con i clienti e non, vediamo che c’è molta voglia di salire in quota». L’Albani, che lavora anche nei mesi freddi, era aperto a inizio marzo, quando il Covid non era ancora esploso in valle.

«Spero che questo isolamento abbia insegnato a tutti noi a rispettare le regole e le direttive, perché anche nella fase di ripresa dovremo stare molto attenti». I due rifugisti hanno voluto, in queste settimane, dare un segnale anche alla Valle di Scalve, «che ci ha adottato (Bottinelli e Zani sono della Val Camonica, ndr) – conclude -. Per il mese di marzo avevamo organizzato un raduno per scialpinisti e ciaspolatori e avevamo prenotato alla Latteria un centinaio di forme di formaggella. Abbiamo pensato di donarle al gruppo di volontari della Valle, chiedendo di darle a chi si trova in difficoltà, alla casa di riposo o alle mense. Una piccola goccia d’acqua, ma che voleva essere un segno di vicinanza alla valle».

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