Coronavirus, caso sospetto a Bergamo
Il presunto paziente zero: «Non ho niente»

L’uomo sarebbe ricoverato all’ospedale «Papa Giovanni»: sottoposto al test per accertare la presenza del Sars-CoV-2. Parla l’uomo rientrato dalla Cina e che era stato a cena col manager di Codogno ora ricoverato in gravi condizioni. Prima vittima italiana nel Padovano: è un ex impresario edile di 78 anni. Anche l’area del Veneto coinvolta (c’è anche un altro contagiato) verso le misure straordinarie adottate per i Comuni del Lodigiano.

La voce girava con insistenza già dal tardo pomeriggio di venerdì 21 febbraio e conferme ufficiali – al momento di andare in stampa – non ce n’erano ancora, ma sembra ormai certo che un uomo di mezza età sia stato ricoverato all’ospedale «Papa Giovanni» di Bergamo verso le 18 con il sospetto di essere stato colpito dal coronavirus. L’uomo sarebbe stato sottoposto al test per accertare la presenza del Sars-CoV-2 e il tampone subito inviato a uno dei tre centri regionali di riferimento indicati dal ministero (il dipartimento di Scienze biomediche per la salute dell’Università di Milano; il servizio di Virologia molecolare e microbiologia e virologia della Fondazione Irccs Policlinico «San Matteo» di Pavia, e la Microbiologia clinica, virologia e diagnostica delle bioemergenze dell’Asst «Sacco» di Milano).

La risposta dovrebbe essere stata consegnata agli infettivologi del «Papa Giovanni» soltanto a tarda notte. Di conseguenze solo nella mattinata di sabato 22 febbraio si potrà sapere qualcosa di più. L’uomo si troverebbe in isolamento in un’area che l’ospedale di Bergamo (riconosciuto come centro di cura per gli eventuali soggetti colpiti dal coronavirus) aveva già predisposto in linea con le indicazioni ministeriali e regionali.

LA PRIMA VITTIMA ITALIANA

Intanto nella tarda serata di venerdì 21 febbraio, poco prima della mezzanotte, è morto all’ospedale di Schiavonia, in provincia di Padova, uno dei due pazienti positivi al coronavirus. Lo ha confermato il governatore Luca Zaia. Il paziente deceduto si chiamava Adriano Trevisan e aveva 78 anni. L’uomo, ricoverato già da una decina di giorni per precedenti patologie, è spirato all’ospedale di Schiavonia. «Non c’è stato neppure il tempo per poterlo trasferire altrove», ha detto Zaia. Trevisan era di Vo’ Euganeo ed era un ex titolare di una piccola impresa edile: aveva tre figli, una delle quali, Vanessa, era stata sindaco di Vo’.

Il governo è pronto a mettere in campo nuove misure, qualora ce ne fosse bisogno. Lo ha detto il premier Giuseppe Conte dopo la notizia della prima vittima italiana del coronavirus all’ospedale di Schiavonia. «Questo non è il momento delle perplessità o di rimproverarci qualcosa – ha ammonito –. C’è da mantenere un monitoraggio costante e verificare le misure in atto, che sono di massima precauzione». Conte ha ribadito di aver «preso tutte le misure e siamo disponibili a valutarne ulteriori, se necessarie». Il capo del governo ha voluto poi mandare un messaggio distensivo, per tranquillizzare gli italiani, in particolare i cittadini del Nord alle prese con le notizie dei 16 contagiati (15 in Lombardia) e ora anche di un morto. «Rassicuriamo tutta la popolazione – ha detto Conte –, al momento abbiamo messo in quarantena tutte le persone che sono venute in contatto con i casi certificati positivi». Nuove misure restrittive saranno prese già in queste ore nelle le zone del Veneto dove risiedevano i due anziani trovati positivi, così come disposto già nel Lodigiano.

A confermarlo, al termine della riunione, è stato il ministro della Salute, Roberto Speranza. «Siamo al lavoro per un’ulteriore ordinanza che sarà sottoscritta con la regione Veneto. L’obiettivo è contenere in aree geografiche limitate l’epidemia» ha spiegato il ministro sottolineando che i provvedimenti ricalcheranno quelli già attuati per i dieci Comuni in provincia di Lodi. «Siamo convinti – ha concluso – che il Servizio sanitario nazionale sia all’altezza di questa sfida. Abbiamo fatto un lavoro di screening molto accurato, per selezionare uno ad uno i contatti stretti di queste persone, li stiamo verificando uno ad uno con i tamponi e pensiamo che questa sia la modalità più efficace per contenere l’avanzamento del virus».

IL PRESUNTO PAZIENTE ZERO

«Dicono che sono il paziente zero, ma non mi trovano niente. Non è detto che, perché sono stato in Cina, devo aver preso io il coronavirus». Così il manager tornato dalla Cina lo scorso 21 gennaio e indicato come possibile causa del contagio del trentottenne ricoverato in gravi condizioni a Codogno. «Con M. abbiamo fatto due cene e abbiamo preso una birretta – ricorda l’uomo a “Milanotoday” – ma sono sempre stato bene, solo un accenno di raffreddore che non è sfociato in influenza. Fino a giovedì sera alle 11 mangiavo e bevevo, non sapevo niente di questo virus». È stato proprio l’amico di 38 anni ora ricoverato a dare ai medici il suo nome e il suo numero di telefono. «Nella notte sono venuti a prelevarmi e mi hanno portato al “Sacco”». Il test, a cui è stato subito sottoposto, è risultato negativo. «Come me lo spiego? Non mi spiego niente. Parlo con i medici per telefono, ma ho più notizie dalla televisione». «Il mio stato d’animo? C’è un mio amico che rischia di morire», dice il manager, preoccupato anche per i famigliari. «Voglio sapere il responso del tampone sui miei genitori». L’esame è stato fatto anche dalle due sorelle e dal nipote.

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