Coronavirus, contagi in famiglia
Nella Bergamasca i focolai sono 430

I numeri dell’Ats: rappresentano oltre l’80% dei 523 registrati settimana scorsa. Antonioli: «Lì si abbassano le difese, e la gente non rinuncia a feste e pranzi».

C’è poco da interpretare. I numeri forniti da Ats chiariscono senza ombra di dubbio quale sia il contesto in cui ci si contagia maggiormente nella Bergamasca, in questa terza ondata dell’epidemia: la famiglia. I dati di settimana scorsa dicono tutto: su 523 focolai attivi fra città e provincia, 430 (oltre l’80%) sono focolai familiari. Seguono – ma con enorme distacco – quelli scoppiati all’interno delle scuole (55), dell’ambito lavorativo (21), delle strutture sanitarie e sociosanitarie (10), dei contesti sportivi (5) e di altri setting.

Lo sanno bene i tracciatori di Ats Bergamo, chiamati a fare inchieste epidemiologiche ogni volta in cui viene rintracciato un positivo. «Non si tengono le mascherine, non si mantiene la distanza di sicurezza, non si adottano tutte le misure di prevenzione a cui ci siamo abituati in altri contesti – osserva Lucia Antonioli, alla guida del dipartimento di Igiene e Prevenzione Sanitaria di Ats Bg -. E così la famiglia diventa il luogo in cui ci si contagia maggiormente. Ma non è solo una questione di abbassare le difese quando si è in casa, con coniugi o figli. Dalle nostre inchieste emerge che proprio alcuni cittadini non ce la fanno a rinunciare a feste, ritrovi, compleanni allargati ad amici e parenti non conviventi. Peccato siano occasioni in cui ci si contagia, tutti: adesso che circola la variante inglese, se c’è un positivo ad una festina di compleanno al chiuso non si salva nessuno. Bambini inclusi». Occasioni che dovrebbero però essere soltanto un ricordo, viste le norme ancora più rigide in vigore per chi – come i bergamaschi – si trova in zona arancione rafforzato.

«Scuola chiusa aiuta a tracciare»

Anche la chiusura delle scuole e la ripresa delle lezioni a distanza potrebbe aiutare a frenare contagi e focolai. Contagi non numerosissimi fra i banchi, ma – in ogni caso – parecchio gravosi da gestire. «È così. Basti pensare che, durante la chiusura delle scuole nel periodo natalizio, facevamo all’incirca una settantina di inchieste epidemiologiche al giorno: ogni positivo aveva in media fra i due e tre contatti da chiamare, il che si traduceva in circa 200 telefonate al dì. Nelle scorse settimane, con le scuole in presenza e la variante inglese sempre più presente sul territorio, siamo invece arrivati a dover fare circa 300 inchieste giornaliere, per un totale di oltre 1.200 telefonate. Numeri che mettono davvero sotto pressione, quasi a rischio direi, il tracciamento: ecco perché, seppur dispiaciuti, non possiamo che condividere la scelta di adottare la didattica a distanza. La mole di lavoro era diventata ormai difficile da gestire». Difficile, per diversi motivi. Il primo strettamente legato al setting scolastico: il contact tracing su un alunno positivo prevede infatti che si debbano contattare tutti gli studenti della classe in cui si è riscontrato il caso, ciò fa schizzare immediatamente il numero di chiamate da effettuare. Il secondo motivo ha invece a che fare con le mutazioni del virus: Ats sta gestendo i casi positivi, alunni e non, come se fossero tutti positivi alla variante inglese. Un dettaglio non da poco, visto che la procedura voluta dal Ministero della Salute fa sì che – di fronte alla mutazione da Oltremanica – si facciano inchieste epidemiologiche sui contatti, non solo stretti, che i positivi hanno avuto nei 14 giorni (anziché nelle 48 ore) precedenti al tampone positivo. «Dobbiamo ricostruire i contatti di due settimane – conferma Antonioli -, cosa spesso non facile visto che non tutti riescono a ricordare con precisione i movimenti fatti nei 14 giorni precedenti. Ma l’obiettivo è risalire alla fonte del contagio e mettere in isolamento i contatti per prevenire l’insorgenza di focolai: per chi non riesce a ricostruire con esattezza, ci concentriamo quindi con grande insistenza nei sei giorni precedenti il tampone. Abbiamo capito che è quello l’arco temporale decisivo».

Per far fronte ai ritmi sempre più pressanti legati alla curva in crescita, il dipartimento di Igiene e Prevenzione sanitaria di Ats Bergamo – che ha in capo il servizio di contact tracing – ha adottato due strategie. La prima consiste nel farsi aiutare da un sistema di avviso via sms, messo a regime dal mese scorso: «I cittadini bergamaschi che si sono sottoposti a tampone ricevono l’esito di positività via sms, senza che siamo noi a doverli contattare uno per uno. Nel messaggio sono contenute anche le istruzioni per farci avere per via telematica una serie di informazioni fondamentali per il tracciamento, fra cui l’elenco dei contatti, con tanto di recapito telefonico. Siamo poi noi a chiamare queste persone, per avvisarli del provvedimento di isolamento e della necessità di sottoporsi a tampone. Ma il sistema degli sms ci aiuta moltissimo a snellire il lavoro».

«Amministrativi» a raccolta

Un lavoro per cui l’Ats ha dovuto chiamare a raccolta tutto il personale disponibile: se le inchieste epidemiologiche le possono fare solo assistenti sanitari con formazione ad hoc, per sbrigare pratiche di pura amministrazione non serve una preparazione specifica: «E difatti, oltre alla trentina di tracciatori, con l’impennata di casi abbiamo messo al lavoro una cinquantina dei nostri dipendenti: a loro affidiamo compiti amministrativi, fra cui l’invio dei provvedimenti, l’inserimento dei dati, la prenotazione dei tamponi. Del resto da soli non saremmo mai riusciti a gestire i numeri in crescita delle ultime settimane. Speriamo che la zona arancio rafforzata riesca a rallentare la curva».

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