Coronavirus, variante «nigeriana»
Primo caso nella Bergamasca

Mutazione sequenziata sul tampone inviato al San Matteo di Pavia: è di un cittadino di Bergamo che si è reinfettato dopo essersi contagiato nel 2020.

Dopo quella inglese e brasiliana, primo caso di variante nigeriana a Bergamo. A darne conferma Lucia Antonioli, guida del dipartimento di Igiene e prevenzione sanitaria di Ats. La mutazione è stata riscontrata nei giorni scorsi su un cittadino residente in città che - a quanto si apprende - era già risultato positivo a Covid-19 lo scorso anno, durante la prima ondata. Non si tratta di un caso di mutazione accertato su una persona rientrata da un viaggio all’estero, né di un contatto di un viaggiatore: al contrario si tratterebbe di un caso «autoctono», registrato appunto su un cittadino bergamasco. In buone condizioni di salute: l’uomo sarebbe in isolamento domiciliare, con una forma di malattia lieve e sintomi simil influenzali. Ats Bergamo ha già disposto la quarantena per tutti i contatti, a cui verrà eseguito il tampone al termine delle due settimane di isolamento, in scadenza nei prossimi giorni.

A identificare la variante nigeriana è stato l’ospedale San Matteo di Pavia, al quale è stato inviato il tampone per il sequenziamento: ai sanitari bergamaschi il campanello d’allarme è scattato trovandosi di fronte a un caso di reinfezione, con il sospetto si trattasse - appunto - di un contagio dovuto alla diffusione delle varianti sul territorio. Da qui la richiesta di sequenziamento. «Ma questo non ci deve indurre a trarre conclusioni fuorvianti – assicura Fausto Baldanti, responsabile del laboratorio di Virologia molecolare del San Matteo di Pavia –. Un singolo caso di reinfezione non vuol dire nulla, di certo non significa che tutti coloro che hanno già contratto il virus possono ripositivizzarsi a causa di questa variante. Bisogna approfondire. Che qualche paziente si reinfetti l’abbiamo appurato: ma possono, per esempio, essere pazienti che hanno avuto una risposta immunitaria molto debole dopo la prima infezione».

La variante nigeriana è stata accertata per la prima volta in Italia a Napoli, a febbraio: a inizio marzo un altro caso agli Spedali Civili di Brescia - altro ospedale lombardo attrezzato per identificare le mutazioni - dove, oltre al sequenziamento genetico, è stato isolato per la prima volta il virus portatore della mutazione nigeriana. «Si tratta di una variante che ha molte similitudini con quella brasiliana e sudafricana – spiega il professor Baldanti –. Test neutralizzanti per verificare l’efficacia dei vaccini sulla mutazione in questione vanno ancora eseguiti. Abbiamo invece già testato il vaccino, parliamo in particolare di Pfizer, sulle varianti inglesi e brasiliana ed è emerso che l’efficacia non cala».

I casi di varianti

Complessivamente, in provincia di Bergamo sono stati accertati da fine dicembre ad oggi 102 casi di varianti, di cui 98 inglesi (erano 65 dieci giorni fa), tre brasiliane e una nigeriana. Nel caso delle mutazioni brasiliane si tratta di due tamponi positivi effettuati su altrettanti cittadini del lago d’Iseo rientrati da un viaggio in Sudamerica, e di un cittadino non orobico ricoverato al «Papa Giovanni».

È però facile immaginare - soprattutto guardando la curva delle ultime settimane - come i dati trasmessi da Ats Bergamo sui casi di variante rappresentino soltanto la punta dell’iceberg. Gli ospedali orobici non sono ancora attrezzati al sequenziamento (meccanismo indispensabile per capire se il virus sia mutato rispetto al ceppo originario): tradotto, la procedura che accerta i casi di mutazione viene richiesta solo per una percentuale dei tamponi positivi riscontrati nella Bergamasca, inviando ai presidi di riferimento (primo fra tutti il San Matteo di Pavia) esclusivamente una piccola quota dei test risultati positivi al Covid. Quota in cui rientrano alcune categorie specifiche: fra le altre, i tamponi positivi dei viaggiatori, i tamponi positivi che in laboratorio evidenziano alcuni marcatori «spia» delle mutazioni, qualche tampone derivato da contesti «ad alta infettività» (focolai) o – come nel caso del cittadino contagiato dalla variante nigeriana – tamponi di cittadini reinfettati. Non eseguendo invece controlli «random» su tamponi che arrivano dal territorio – come fanno a Brescia o a Varese, per esempio – è impossibile stabilire in che proporzioni le mutazioni siano presenti sulla provincia orobica.

Che le varianti siano ben più diffuse di quanto i dati ufficiali raccontino è però molto più che un sospetto: ne è una riprova la recente impennata di casi, che gli epidemiologi bergamaschi riconducono all’ampia circolazione della variante inglese – decisamente più infettiva –, a detta di tutti gli esperti pronta a divenire la mutazione prevalente del virus in Lombardia, e non solo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA