Dal sindaco Gori all’Ordine dei Medici:
«Facoltà di Medicina? Momento giusto»

L’idea del rettore per l’Università di Bergamo incassa il sostegno del sindaco Gori e dell’Ordine dei Medici. Incontro in settimana con Ats.

L’appello del rettore - portare a Bergamo la Facoltà di Medicina - non è caduto nel vuoto. Le istituzioni si sono messe in moto, per centrare il risultato mancato 55 anni fa. «Oggi ci sono tutte le condizioni per raggiungere quest’obiettivo», ribadisce Remo Morzenti Pellegrini, che ha lanciato l’idea presentando i dati degli iscritti al test d’accesso ai corsi di laurea magistrale a ciclo unico in Medicina e chirurgia e Odontoiatria. Per la prima volta l’Università di Bergamo è infatti sede della prova nazionale (il 3 settembre, alle 12, data uguale in tutta Italia), con 803 giovani bergamaschi a tentarla. Una partecipazione anche dal grande valore simbolico: in uno dei territori più colpiti dal Covid, le giovani generazioni si mettono a disposizione di una professione «in prima linea». «Da soli come Università, già impegnati su tanti fronti, non ce la possiamo fare, ma dialogando col territorio e gli altri atenei, i tempi sono maturi per fare questo salto», è convinto il rettore.

Il sindaco: «Ci siamo»

E la risposta non si è fatta attendere. «Sono convinto anche io che sia il momento giusto per provarci – arriva il sostegno del sindaco Giorgio Gori –. È chiaro a tutti che serva un sistema sanitario più forte, e proprio per questo ha senso avviare a Bergamo - dove abbiamo costruito un “distretto della salute” che già conta su centri di ricerca, aziende ospedaliere e produzione industriale - un progetto di formazione universitaria in campo medico». Due i criteri che vedono d’accordo rettore e sindaco. «Non creare doppioni e non pestare i piedi ad altri», li semplifica Remo Morzenti Pellegrini. E Gori segue il filo: «Bisogna provarci in raccordo con le Università milanesi, per evitare competizioni controproducenti, e bisogna individuare un’area di intervento che giustifichi il progetto di Bergamo: al di là degli eventi eccezionali, la vera sfida potrebbe essere la cura della cronicità, perché l’invecchiamento della popolazione è uno dei temi da affrontare, e offre anche più sbocchi in termini di opportunità occupazionali». È prematuro parlare della «collocazione» della nuova Facoltà. Ma non sfugge il collegamento con il futuro di Porta Sud. «È vero che quella parte di città è vocata a “polo della salute”, finora immaginato come ampliamento di Humanitas, ma nulla vieta all’Università di Bergamo di collocarsi in quell’ambito con un progetto specifico e coerente», è possibilista Gori.

La parte sanitaria

Insomma se i tempi non saranno brevissimi, si è comunque più avanti del semplice pourparler. «Già questa settimana (tra giovedì e venerdì, ndr) incontrerò il rettore per verificare quali possono essere i prossimi passi – conferma il direttore generale di Ats Bergamo Massimo Giupponi –. L’iniziativa è sicuramente interessante e da incentivare ; rientra a pieno titolo nella “filiera per la salute” attivata dalla Regione con i tavoli territoriali dell’estate scorsa. Prevede il potenziamento di tutte le componenti del sistema sanitario, compresa la parte formativa». I test «territoriali» decisi dal ministero - i giovani bergamaschi dovranno appunto fare il concorso a Bergamo e non in altre sedi - «offrono già un spaccato interessante dei numeri coinvolti. Se quindi ci fosse un potenziamento dei corsi di laurea, noi non ci faremmo trovare impreparati, pronti a utilizzare al meglio tutti gli spazi che possono aprirsi per portare qui Medicina». I risvolti sono molteplici: economici, scientifici e assistenziali. «Non c’è dubbio che da parte dell’Ordine dei medici c’è pieno sostegno a questa iniziativa – interviene il presidente provinciale Guido Marinoni –, anzi, l’avvio di un corso di laurea in Medicina a Bergamo è sempre stato per noi strategico». I bisogni sono chiari: «Avere la Facoltà in città significa far nascere nuovi medici a Bergamo con la speranza di farli fermare qui». E anche l’impostazione è altrettanto netta: «A ogni laureato in medicina e chirurgia deve corrispondere un posto al corso di formazione specifica sia in medicina generale sia di specializzazione ospedaliera, perché quello di cui c’è più bisogno sono le scuole di specialità. Il percorso non dura sei anni, ma dai 9 agli 11 e va garantito tutto». L’impostazione didattica da prendere d’esempio è quella della scuola di medicina in lingua inglese, già avviata in partnership col Papa Giovanni: «Indipendentemente dalla lingua, quello che ci piace è che è sul campo sin dall’inizio, in ospedale e negli studi dei medici di medicina generale».

«No all’anno zero»

Il rettore incassa l’entusiasmo generale, consapevole della strada da fare. «Per l’Università – fa notare – il corso di laurea in Medicina sarebbe il punto d’arrivo di un percorso accademico iniziato 15 anni fa con Psicologia clinica, via via rafforzato nel tempo con Ingegneria delle tecnologie per la salute, progetti di sviluppo e ricerca con la sanità pubblica e privata fino al corso in medicina in lingua inglese, in partnership con Milano-Bicocca, ospedale Papa Giovanni e Università del Surrey. Per il territorio sarebbe invece un importante punto di partenza per rimettere al centro il tema della salute, dove giocare una partita fondamentale». Il riferimento è anche ai Tavoli Ocse, «dove il futuro del territorio, senza trascurare il manifatturiero, si può costruire scommettendo su un grande distretto, anche industriale, della salute, mettendo in un’unica filiera le grandi eccellenze che abbiamo».

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