Delitto Gorlago: «Chiara, per molto tempo
ha covato la volontà di uccidere la rivale»

Le motivazioni della sentenza con cui Chiara Alessandri è stata condannata a 30 anni per l’omicidio di Stefania Crotti.

«Ha covato, per considerevole lasso temporale, una volontà soppressiva della rivale in amore e l’ha attuata avvalendosi del contributo di un ignaro e sprovveduto conoscente che ha condotto la vittima nel garage della sua assassina».

È un passaggio significativo nelle 28 pagine con cui il gup di Brescia Alberto Pavan ha motivato la condanna a 30 anni inflitta a Chiara Alessandri, la 45enne di Gorlago in carcere con l’accusa di aver ucciso Stefania Crotti, 42 anni, di Gorlago, il 17 gennaio 2019. Perché va a cementare l’aggravante della premeditazione, riconosciuta dal giudice e senza la quale non si sarebbe potuti partire dalla pena dell’ergastolo (ridotta a 30 anni per via dello sconto di un terzo dovuto alla scelta del rito abbreviato). La premeditazione, scrive il gup, «è caratterizzata da un apprezzabile intervallo temporale tra l’insorgenza del proposito criminoso e la sua attuazione, in modo tale da consentire una ponderata riflessione circa l’opportunità del recesso». «L’aggravante - aggiunge - va esclusa solo quando l’occasionalità del momento di consumazione del reato appaia preponderante». E questo non è il caso del delitto di Gorlago, perché l’imputata «acciecata da desiderio di vendetta nei confronti della donna ritenuta responsabile dell’allontanamento dell’amato Del Bello (Stefano, marito della vittima con cui Alessandri aveva avuto una relazione, ndr), ha covato per considerevole lasso di tempo un proposito omicida di soppressione della rivale in amore».

L’imputata aveva mandato un amico a prendere la vittima col furgone, dicendogli che doveva farla salire bendandola e dopo averle consegnato un biglietto e una rosa. Una sorpresa organizzata dal marito, gli aveva fatto credere. Anche la vittima c’era cascata, fidandosi, ma ritrovandosi nel box dell’Alessandri. Che l’aveva tramortita con 21 colpi di martello, caricandola poi in auto e portandola sino a una strada sterrata tra i vigneti di Adro, Franciacorta. Poi le aveva dato fuoco, ritenendola morta. Invece Stefania respirava ancora (ecco perché il processo s’è celebrato a Brescia).

«M’ha aggredito, mi sono difesa. Volevo solo chiarirmi con lei», s’era giustificata l’imputata, il cui legale Gianfranco Ceci chiedeva la riqualificazione in lesioni gravissime e omicidio colposo. «Omicidio doloso connotato da dolo alternativo», ha sentenziato invece il gup. Non c’è soppressione di cadavere perché «la persona era in vita» e, cadendo questo reato, l’imputata s’è risparmiata l’ergastolo con isolamento diurno che, con lo sconto dell’abbreviato, sarebbe diventato ergastolo. Delitto premeditato perché ha organizzato la messinscena della finta sorpresa del marito e perché il giorno precedente la sua auto risultava nella zona in cui poi sarebbe stato ritrovato il cadavere. «Un sopralluogo», per il giudice. Omicidio «con modalità particolarmente cruenta», scrive Pavan. E alla 45enne, nonostante sia incensurata, niente attenuanti generiche, anche perché «sono mancati un contegno confessorio, una resispiscenza per quanto commesso, una rivisitazione critica e infine un contatto di solidarietà nei confronti dei parenti della vittima».

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