«Deroga per Bergamo alla zona rossa?
Possibile, una valutazione si deve fare»

Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di Sanità: d’intesa con le Regioni, il Dpcm prevede la possibilità, in relazione a specifiche parti del territorio regionale, di un’esenzione dalle misure più stringenti.

Bergamo, Roma. Il fronte locale e quello nazionale s’intrecciano nella tela dei numeri, nella trama che colora il presente dei territori secondo l’avanzata dell’epidemia. Di nuovo rossa la Lombardia e anche la terra orobica, nonostante una chiusura quasi ermetica al virus, eredità immunitaria del dramma patito in primavera. Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità e componente del Comitato tecnico scientifico, animo bergamasco, tratteggia un’amplissima panoramica sul fronte della lotta al virus, quasi un anno dopo le prime avvisaglie dell’evento che ha sconvolto il mondo, l’Italia, Bergamo. Dodici mesi dopo le lontane notizie da Wuhan, per esempio, oggi c’è l’epocale sfida dei vaccini. Ma c’è anche un presente più minuto e innegabile, qui sul territorio locale, fatto di dialogo e anche di apprensioni sulla nuova quotidianità a maglie strette.

Professore, la Lombardia torna in zona rossa. Perché?

«Il punto più delicato è che l’Rt medio della Lombardia, calcolato sui 14 giorni, ha una stima puntuale di 1,4, e di fatto è il più alto tra tutte le regioni: su questi valori c’è solo la Provincia autonoma di Bolzano, a 1,5. Sul versante ospedaliero, la Lombardia ha un’occupazione dei posti letto nelle terapie intensive al 38%, sopra la soglia del 30%, mentre i posti in area medica sono occupati per il 32%, quando la soglia è del 40%».

Si parla anche di incidenza, e la Lombardia è sotto la quota dei 250 mila nuovi casi ogni 100 mila abitanti in una settimana. Come mai, allora, il rosso?

«La Lombardia è a 133 di incidenza, un parametro buono, di parecchio inferiore per esempio a Veneto, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia. Il problema resta l’Rt: con le precedenti soglie la zona rossa scattava con Rt a 1,5, dunque la Lombardia sarebbe stata arancione».

Perché si sono riviste le soglie?

«L’abbassamento delle soglie è stato sostanzialmente concordato tra Governo e Regioni un paio di settimane fa; se vi erano delle perplessità, forse quello era il momento per manifestarle. Quando se n’è discusso, come caratteri di principio per contenere la circolazione del virus, sostanzialmente non c’è stata un’obiezione marcata da parte delle Regioni, tant’è che sono entrate in vigore».

Bergamo, tramite una lettera del sindaco Giorgio Gori e del presidente della Provincia Gianfranco Gafforelli, ha chiesto misure più attenuate. Ci sono delle possibilità?

«Io ho posizione di apertura. Premetto che non lo dico perché sono bergamasco, ma credo che debba essere verificata la possibilità di valutare, soprattutto in alcuni contesti, la possibilità di misure differenziate. Oggettivamente, per Bergamo, in virtù dei valori d’incidenza che si registrano (61 casi ogni 100 mila abitanti su 7 giorni, ndr) e della memoria immunologica giustamente sottolineata, credo che una valutazione debba essere fatta. Questa provincia ha pagato un prezzo altissimo, forse il più alto, la scorsa primavera, e ora in regione i punti critici riguardano altri territori».

Quali margini ci sono, per questa possibilità?

«Ne ho parlato col professor Brusaferro (presidente dell’Istituto superiore di sanità, ndr). Credo che uno sforzo che potrebbe essere fatto è quello di produrre un’analisi epidemiologica provinciale molto dettagliata, la più completa possibile, che sia poi discussa dalla cabina di regìa del monitoraggio, dove siedono rappresentanti del ministero della Salute, dell’Iss e delle regioni, compresa la Lombardia. In presenza di realtà così diversificate, una riflessione serena, che abbia come principio superiore la tutela della salute, può essere fatta».

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