«Ecco il test per capire chi è immune»
Coronavirus, «patente» per ripartire

L’intervista al professor Fausto Baldanti che ha coordinato gli studi per l’esame sierologico al San Matteo di Pavia. Consentirà di individuare gli anticorpi legati al coronavirus: «Così sapremo quanti hanno sviluppato le difese»

È in arrivo la «patente» di immunità per quella che viene definita la «fase 2» dell’epidemia da Covid-19. Sono stati completati all’Irccs Policlinico San Matteo - il cui direttore generale è Carlo Nicora , già dg dell’Asst Papa Giovanni XXIII di Bergamo – gli studi necessari al lancio di un nuovo test sierologico, studi effettuati dai ricercatori del San Matteo e della DiaSorin, l’azienda che ha messo a disposizione il kit per il test. E si ritiene possibile che già entro 10 giorni si possa arrivare alla commercializzazione in tutta Italia. È il professor Fausto Baldanti, ricercatore e direttore della Virologia dell’Irccs-San Matteo di Pavia a spiegare come funziona il test, e che ruolo potrà avere nel «governo» delle prossime fasi dell’epidemia.

Come funziona?

«Tutti noi, colpiti da virus , produciamo anticorpi. Esistono diversi modi per capire se una persona ha avuto contatti con il Covid-19, e differenti tipi di test sierologici. Che sono cosa diversa dai tamponi: i tamponi dicono solo se il virus è presente o no nelle prime vie respiratorie , ma non se il nostro organismo ha combattuto o sta combattendo contro il virus, producendo appunto anticorpi. I test sierologici si eseguono attraverso il sangue. Un tipo, diciamo simile a quello per verificare la glicemia, cioè il test rapido su qualche goccia di sangue, fornisce come responso un sì o un no. Ma questi test hanno una bassa sensibilità e per questo l’Iss, Istituto superiore di Sanità ha stabilito che non possono essere utilizzati a uso diagnostico per una verifica attendibile. Altri test, che invece richiedono un prelievo di sangue, come questo studiato e verificato al San Matteo, misurano gli anticorpi che una persona ha sviluppato contro il Covid-19. Per dirla in modo semplice è come se si dovesse cercare da un mazzo di foto di tutta la Terra solo quelle dell’Asia. Ecco, questo test cerca e trova quelli che si chiamano anticorpi neutralizzanti».

Dà informazioni sull’immunità?

«Individuando proprio gli anticorpi neutralizzanti, ci dice se una persona ha sviluppato le difese contro il Covid-19. E quindi se questa persona ha maturato l’immunità».

Come si sono sviluppati gli studi?

«Vanno precisate alcune cose: molte aziende hanno avanzato le proposte di kit per i test, DiaSorin è stata individuata perché è un’azienda italiana e può garantire, a regime, un alto volume di processamento dei test che può raggiungere migliaia e migliaia di italiani al giorno. Il nostro lavoro di ricerca è partito dall’idea di costruire una proteina sintetica simile a quella chiamata spike che il nuovo coronavirus utilizza per replicarsi nell’organismo. Quindi il test è stato confrontato con tre gruppi di prelievi di sangue: uno derivante dai ricoverati su pazienti in Terapia intensiva, uno dai pazienti guariti e uno su prelievi di sangue già “stoccati” per altri studi 3-4 anni fa e che quindi non potevano contenere anticorpi contro il Covid-19, perché allora non esisteva nel mondo. I test hanno per i primi due gruppi identificato la presenza di anticorpi e per il terzo no, in base a questi studi il test è stato validato dal laboratorio di Virologia del San Matteo e ora DiaSorin sta lavorando per ottenere il marchio Ce e l’autorizzazione all’utilizzo dall’Istituto superiore di Sanità».

Il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana ha annunciato che a breve si potrà partire con i test sulla popolazione che misurano gli anticorpi neutralizzanti che certificano l’immunità verso la malattia. Come si procederà?

«Sì, con la commercializzazione il test potrà essere disponibile in tutta Italia, ed essere di utilità perla “fase 2”dell’epidemia. Ma va chiarito che questo test non è certamente una patente di sicurezza per tutti. Potrà essere utilissimo per mappare i guariti; chi ha gli anticorpi può ritenersi immune. Ma avrà anche un’elevata importanza di screening: verificare lo sviluppo degli anticorpi in chi non ha fatto la malattia servirà agli epidemiologi per misurare la percentuale di popolazione che ha sviluppato l’immunità. Più si alza la percentuale più si procede verso un percorso di immunità di gregge, come nelle vaccinazioni. Oggi, siamo lontani: solo sopra l’80% di immunità della popolazione ci si potrà ritenere protetti nei confronti dell’epidemia».

Quindi, se la «fase 2» arriverà, sarà sempre con rigide limitazioni.

«Lo screening potrà servire anche per verificare le modalità per avviare una ripresa delle attività, come tutti auspicano, ma, nell’attesa di un vaccino, che dà l’immunità senza fare la malattia, le sole armi per arginare i contagi sono e restano le mascherine per tutti, il distanziamento sociale anche nei posti di lavoro, e il divieto di assembramenti, fino a quando il virus circolante sarà molto basso».

© RIPRODUZIONE RISERVATA