Fra Europa e Italia
una trincea pericolosa

La reazione dell’Europa alla manovra italiana non è certo stata delle più amichevoli. Ancora una volta il presidente della Commissione Jean Claude Juncker si è incaricato di attaccare il nostro Paese con l’aria di chi proprio non vorrebbe farlo, anzi di chi è stato costretto dalle circostanze: «Se accettassimo ciò che chiede il governo di Roma avremmo una reazione violenta da parte degli altri Paesi», ha detto con ciò dimostrando che è la Commissione ad appellarsi ai partner perché la aiutino a sbarrare la strada agli italiani.

domani al Consiglio europeo. Il presidente del Consiglio Conte arriverà al summit dei capi di Stato e di governo con in testa la difesa della politica di bilancio da lui firmata e con le risposte già scritte alle obiezioni e alle critiche che gli verranno portate da almeno sei o sette suoi colleghi. La riunione è stata costruita in modo tale da evidenziare l’isolamento in cui si è cacciata l’Italia. O meglio, in cui si è cacciato il governo sovranista-populista cui la Commissione e i Paesi maggiori debbono impedire di ottenere il risultato che si prefigge: se la trincea non fosse sufficiente, Roma diventerebbe la capitale europea del sovranismo, della contestazione all’Europa che ci ha governato negli ultimi decenni e soprattutto nel corso di questa lunghissima crisi. Se Conte, Salvini e Di Maio otterranno il loro scopo sarà chiaro a tutti nell’Unione che si può sfidare Bruxelles senza pagare pegno, e allora sì che il risultato delle prossime elezioni di maggio sarà segnato.

La crisi dei due partiti tradizionali che hanno guidato la Ue – soprattutto dei socialisti, ma in parte anche dei popolari – potrebbe essere aggravata proprio dal successo di chi governa un partner fondamentale dell’Unione. Ecco perché Junker si appella a Francia, Germania, Olanda e a tutti i cosiddetti «falchi». In prima fila nell’assalto ci saranno naturalmente i francesi: Macron si sente, molto più della Merkel, il vero campione dell’antisovranismo europeista, e il commissario Moscovici ha anticipato ciò che farà l’inquilino dell’Eliseo. La risposta di Salvini e Di Maio è persino brutale: a maggio non ci sarete più, dicono rivolti a Junker e agli altri sodali socialisti o popolari, e l’Europa cambierà completamente volto. Già, ma da qui a maggio ci sono i mercati da affrontare, la probabile procedura di infrazione che la Commissione aprirà e soprattutto il rating delle agenzie internazionali.

L’Italia, con tutte le sue fragilità, è in condizione di affrontare una simile sfida senza pagare un pegno troppo alto? Ecco la domanda. In fondo, anche Renzi aveva sfidato la Ue, anche lui chiedeva più flessibilità, più deficit per la crescita; anche Renzi ha duramente litigato con Juncker arrivando alle parole forti. Il presidente del Consiglio del Pd però aveva dalla sua non solo la piena leadership politica del governo (che Conte, mero «esecutore» non ha per contratto) ma anche l’aiuto di un tecnico autorevole e pienamente legittimato come Pier Carlo Padoan, mentre il professor Tria è stato ridimensionato dai suoi stessi colleghi di governo. Non è una differenza da poco. In ogni caso, se l’Italia vincerà la sfida, si tratterà di vedere – come diceva ieri Diego Della Valle – se il contenuto della manovra serve davvero alle necessità dell’Italia. Le opposizioni denunciano che si tratta in realtà di mance elettorali, di aiuti agli evasori, di nessun vero sostegno alle imprese e alla lotta alla disoccupazione. Su questo il Parlamento avrà ampia possibilità di discussione e anche le minoranze potranno inserirsi nelle non poche indecisioni di una maggioranza composta da partiti tra loro molto diversi e fortemente concorrenziali.

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