Giustizia, lo schiaffo Covid:
a nudo carenze e arretrati

Anno giudiziario: 2.500 reati in meno, ma il virus ha condizionato l’attività. Inchiesta pandemia: la Procura chiede rinforzi, resta però con 5 pm in meno.

«L’elemento simbolico che accompagnerà sempre la memoria di quanto accaduto è legato al nostro territorio, ed è quella dei 70 mezzi militari che portavano via le salme dei morti Covid a Bergamo». Il presidente della Corte d’appello di Brescia Claudio Castelli apre il suo discorso di apertura dell’anno giudiziario del distretto con l’immagine del lugubre corteo capace di far capire al mondo che cosa stava accadendo da noi in quei mesi. Perché è necessario che si comprenda da subito come il virus abbia condizionato pesantemente anche la giustizia: «Abbiamo dovuto inventarci rigorose cautele sanitarie, valorizzare gli accessi e il lavoro da remoto». Il presidente parla dal tribunale di Brescia, con magistrati, avvocati e autorità di Bergamo, Mantova e Cremona che, per la prima volta nella storia di questa cerimonia, assistono non in presenza ma in collegamento tv nelle aule di corte d’assise delle rispettive città. Per dire quanto il virus sia riuscito a scombussolare anche un rito che sembrava pietrificato dal tempo, tra i meccanismi rimasti più uguali a se stessi di una giustizia che fatica a mettersi al passo coi tempi.

Castelli osserva che «questa tragedia e la perdita di tante vite umane ci ha imposto e ci impone l’impegno e la capacità non solo di resistere alle sospensioni delle attività e ai lockdown, ma di uscire da questa drammatica crisi migliori». Intanto, spiega, «non siamo stati inerti: gli uffici giudiziari non sono mai stati chiusi e hanno costantemente operato, pur subendo inevitabili rallentamenti e dovendo limitare la propria attività».

Quanto abbia influito il Covid lo si legge nei dati, scorporati per l’occasione in due periodi significativi: la Fase 1, dal 23 febbraio (giorno dei primi contagiati all’ospedale di Alzano) all’11 maggio (data di cessazione del primo, ferreo lockdown); e la Fase 2, dal 12 maggio al 30 novembre, caratterizzata da restrizioni meno severe. Si nota che il calo dei procedimenti iscritti e definiti rispetto alla stesso periodo del 2019 a Bergamo è clamoroso nella Fase 1, sia per i sopravvenuti (civile e penale a -55%) che per i definiti (civile -75%, penale -64%). Nella Fase 2 invece le variazioni sono contenute, oscillando dal -13% dei sopravvenuti nel civile al +19% dei sopravvenuti nel penale.

Il virus, ammette Castelli, ha evidenziato alcune criticità, tipo la difficoltà di celebrare i processi penali in presenza, come invocano gli avvocati e come il dibattimento Ubi ha ampiamente dimostrato. «L’epidemia – analizza l’alto magistrato – ha messo a nudo le nostre arretratezze e carenze e potrebbe essere l’occasione per far diventare la crisi momento di riflessione, cambiamento e rilancio». Concetto ripreso, al momento di congedare la ventina di presenti nell’aula di corte d’assise di Bergamo, dal presidente del tribunale Cesare de Sapia nel suo breve discorso.

Aspetti positivi, pochi. Ma vale citare l’impulso dato dal lockdown alla (quasi) piena attuazione del processo telematico nel civile. E l’ingegno aguzzato dei dirigenti, costretti a fare di necessità virtù. Con una Procura sguarnita dal lavoro agile e l’impossibilità di accedere da remoto a molte delle funzioni che caratterizzano l’impiego del personale amministrativo, a Bergamo il procuratore Chiappani ha pensato bene di acquistare scanner e distribuirli a dipendenti in smart-working, dirottati così sulla digitalizzazione degli avvisi di chiusura indagini. Risultato: da migliaia di fascicoli arretrati (i 415 bis erano il collo di bottiglia del percorso documentale di un procedimento, con attese delle notifiche che in alcuni casi sfioravano anche l’anno) si è scesi a 400.

Il lockdown ha anche frenato la criminalità: nel 2020 (anno solare) si sono registrati 2.500 reati in meno. «Rispetto al 2019 – spiega a margine della cerimonia Chiappani – in Procura ci sono state mille iscrizioni in meno a modello 21 (denunce contro noti, ndr) e 1.500 in meno a modello 44 (denunce verso ignoti, ndr). Meno gente in giro significa meno delitti, dall’incidente stradale al furto nel negozio. E più gente costretta a rimanere in casa ha limitato l’azione dei topi d’appartamento».

Ma, causa Covid, sono aumentati in maniera esponenziale altri fascicoli, come quelli per gli infortuni sul lavoro (l’Inail il contagio lo ha catalogato così), 800 al 31 dicembre, piovuti sulle scrivanie di una pianta organica storicamente carente. E che faranno da corollario all’inchiesta sulla pandemia, monumentale e capace di arrivare a interessare, come persona informata sui fatti, anche il ministro della Salute.

«Ma cosa volete? Ci dobbiamo destreggiare col 33% in meno di personale amministrativo e di Vpo (vice procuratori onorari, che si occupano delle udienze per reati minori, ndr) e 5 pm in meno sui 18 previsti – lamenta Chiappani –. Il Csm non ci ha destinato alcuno dei Mot (i magistrati ordinari in tirocinanti con assegnazioni obbligatorie, ndr) disponibili. Ho scritto chiedendo che ce ne fossero assegnati 4 e spiegando in quale situazione siamo, soprattutto dopo aver aperto un’inchiesta sulla pandemia che è seria, importante e va a toccare anche aspetti internazionali. E per la quale è stato costituito un pool diretto dal procuratore aggiunto Maria Cristina Rota, che conta 4 pm, due dei quali, però, a breve lasceranno, temporaneamente e per motivi diversi, la nostra Procura. Al Csm ho scritto una seconda volta per rappresentare, diciamo, la mia meraviglia sulle mancate assegnazioni, ma in entrambi i casi non ho avuto risposta. A Genova, dopo il crollo del ponte Morandi e l’inchiesta che si prospettava, hanno destinato rinforzi. E rinforzi sono giunti pure alla Procura di Cuneo. La mia non è polemica, solo un’amara constatazione».

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