Gli effetti dannosi sul cuore di Sars-Cov2
Uno studio smaschera i nemici invisibili

Sessanta autopsie, la ricerca avanzata della Cardiologia interventistica e dell’Anatomia patologica dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo con il laboratorio Usa CvPath. Guagliumi: «Infarti ma coronarie libere: all’origine microtrombi generati dal virus».

Era marzo, l’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo stretto nella morsa della pandemia. Al Papa Giovanni arriva, con chiari segni di un infarto, una donna di 43 anni positiva al Sars-Cov2, ma senza problemi polmonari. Nei giorni precedenti aveva assistito il marito, appena ricoverato per polmonite bilaterale da Covid, e poi aveva avvertito un forte dolore al torace. L’elettrocardiogramma mostra subito danni cardiaci, ma la successiva coronarografia non evidenzia ostruzioni alle coronarie.

Il «mistero» del danno

«Le sue arterie erano libere: cosa stava causando i problemi cardiaci a quella paziente? Perché quell’infarto così esteso? Prima di contrarre l’infezione da Sars-Cov2 la donna era sana, senza particolari problemi di salute – spiega Giulio Guagliumi, direttore della Cardiologia interventistica dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo – . Tentammo di tutto per salvarla, ma dopo 46 ore dall’arrivo in ospedale, la paziente morì. Un caso che ci toccò profondamente, e decidemmo di partire da lì per capire quali e quanti danni causasse il virus al cuore. In quel momento, del Sars-Cov2 si sapeva ben poco. Si era compreso che i pazienti con malattie cardiovascolari avevano un rischio maggiore, come per altre infezioni virali. Venivano segnalati casi di malati Sars-Cov2 con danni cardiaci, ma con le coronarie libere da ostruzioni. Si pensava quindi che questi danni fossero dovuti a una miocardite, una infiammazione diretta del cuore. Ma c’era davvero il virus nel cuore? Era davvero questo il meccanismo del danno? Decidemmo di indagare: e partimmo proprio dal caso di quella paziente. L’analisi del cuore avrebbe potuto spiegare cosa era successo e aiutarci a trovare terapie più efficaci». 

Un’indagine a cui il Papa Giovanni XXIII di Bergamo arriva tra i primi al mondo. Lo studio, esteso a 60 cuori - e «possibile grazie alla fondamentale e cruciale collaborazione con la nostra Anatomia patologica, guidata da Andrea Gianatti – illustra Guagliumi – e di uno dei laboratori di ricerca cardiovascolare più prestigiosi nel mondo, CVPath di Gaithersburg, negli Stati Uniti» - ha portato alla pubblicazione di una serie di articoli, a partire da giugno fino a questi giorni su Circulation e su JACC (Journal of the American College of Cardiology), le due riviste di cardiologia più autorevoli al mondo.

I cuori «parlano»

«A Bergamo il virus ha colpito duramente, provocando la morte di molti pazienti. Verso la fine di giugno, quando abbiamo inviato il primo scritto a Circulation sul caso della giovane donna, c’erano nel mondo già più di 8 milioni di casi Covid e più di 450 mila morti, ma non erano più di 250 i casi con dati autoptici che spiegassero cosa era successo, come si comporta il virus, e aiutassero a migliorare la terapia – continua Guagliumi – . Pochissimi casi riguardavano il cuore, nonostante molti studi e l’esperienza clinica avessero già documentato che all’incirca 1/3 dei pazienti affetti da Covid presentavano segni di danno cardiaco, con un aumento marcato della mortalità. Quella che all’inizio si pensava fosse una malattia di interesse esclusivo del polmone si dimostrava invece capace di provocare danni rilevanti a cuore, reni, cervello. Nei cuori esaminati dallo studio, pur in presenza di zone con cellule danneggiate, spesso distribuite a macchia di leopardo, il virus viene ritrovato molto raramente e i casi di miocardite classica sono finora pochissimi».

Ostruzione diffusa 

Quindi cosa succede, il virus colpisce in modo «invisibile»? E come?  «Il Sars-Cov2 non aggredisce direttamente le cellule del cuore – illustra Dario Pellegrini, giovane cardiologo interventista dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, primo autore della serie di casi più ampia sino ad ora mai pubblicata – ma scatena effetti a distanza. Una “tempesta” di citochine che determina i microtrombi, piccoli coaguli responsabili di una ostruzione diffusa nei piccoli vasi del circolo coronarico, smascherati da metodi di indagine avanzati. In pratica, i microtrombi possono causare un infarto acuto in assenza di placche coronariche e di restringimenti visibili alla coronarografia, come è accaduto alla giovane donna morta in poche ore dal ricovero».

Al servizio della clinica 

L’importanza di questo studio, rimarca Guagliumi, sta nel fatto che grazie a questo lavoro di patologia la ricerca si mette al servizio della clinica: «Ora abbiamo strumenti più definiti per impostare nuove e migliori strategie terapeutiche. Oggi i casi confermati di Covid nel mondo sono più di 100 milioni e oltre 2 milioni e 100 mila le morti accertate. Stiamo continuando il nostro lavoro di ricerca, che ha visto coinvolte le nostre più giovani leve, tra medici e infermieri: la ripresa dei contagi di questi mesi richiede conoscenze ancora più precise. Sappiamo, ora, cosa può succedere quando la reazione scatenata dal virus genera microtrombi; diventa quindi cruciale un intervento terapeutico mirato e altrettanto veloce. E molto rapido deve essere il ricorso all’assistenza ospedaliera in caso di dolore toracico: nella prima ondata di contagi tante persone colpite da infarto non hanno potuto accedere al pronto soccorso, o hanno temuto di chiedere aiuto. Ora gli ospedali sono sicuri e sappiamo del virus molte cose in più: non bisogna avere paura di chiedere soccorso, è fondamentale rivolgersi all’ospedale il prima possibile». 

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