«Io, trapiantata cinque anni fa
Ora ho vinto anche sul virus»

Esempio di speranza, una storia positiva. Tiziana Negri, medico, 65 anni, è guarita dal contagio. «Nel 2015 un fegato nuovo, l’8 marzo i sintomi Covid: un’esperienza durissima».

«Sto meglio, sono tornata a casa da mio marito. Quando l’ho salutato entrando al pronto soccorso entrambi sapevamo che rischiavamo di non vederci più. Il mio corpo ora sta migliorando, ma il mio animo ha ferite profonde: quello che ho visto da ricoverata per coronavirus all'ospedale Papa Giovanni di Bergamo mi ha segnato nel profondo. Ma sono viva, e sono guarita. A tutti i bergamaschi che stanno soffrendo voglio offrire la mia esperienza: se ce l’ho fatta io, possono farcela anche tanti altri. Forza!». Tiziana Negri, 65 anni, medico di base con specializzazione in gastroenterologia, sorride timidamente mentre, con un filo di voce, racconta il suo faccia a faccia con il coronavirus: un incontro capitato a una donna che già 5 anni fa si è trovata ad affrontare una prova difficilissima, quella di un trapianto di fegato.

Una vita da medico

«Ho sempre fatto il medico di base, ho esercitato nella zona di Loreto, a Bergamo, dove vivo – spiega – . E per oltre 15 anni ho combattuto la mia battaglia con una rara malattia epatica. Alla fine, per poter sopravvivere, c’era solo il trapianto: ho ricominciato con un fegato nuovo, sono andata in pensione, e ho ricostruito la mia esistenza, sempre con mio marito Igor, che è russo e fa il violinista, al mio fianco. Ma evidentemente il trapianto non era l’unica difficile prova che il destino aveva in serbo per me».

Febbre e tosse

L’8 marzo 2020, infatti, racconta Tiziana Negri, ha cominciato ad avere brividi, tosse insistente e poi la febbre che impennava fino a 39. «Erano i classici sintomi da infezione da coronavirus, e per otto giorni sono rimasti costanti, con difficoltà respiratorie che aumentavano. Ho seguito le indicazioni, sono rimasta a casa. Ma il mio ottimismo cedeva minuto dopo minuto. Alla fine, la dottoressa Maria Grazia Lucà, della Gastroenterologia del Papa Giovanni, che mi contattava tutti i giorni e che mi ha sempre seguito dopo il trapianto, mi ha detto: “Tiziana, devi farti forza ma tu non puoi più restare a casa, devi assolutamente venire in ospedale”. Mi sono sentita persa».

Saluto disperato

E da quel momento, continua Tiziana, è iniziata l’esperienza più dura della sua vita, più del trapianto. «Mio marito ed io ci siamo guardati negli occhi: sapevamo entrambi che poteva essere l’ultima volta che ci vedevamo. E al pronto soccorso sono stata avvertita dall’infermiera che mi sarei trovata davanti a una situazione tragica, ma il clima da trincea che ho vissuto andava al di là di ogni immaginazione. Medici e infermieri stanno facendo un lavoro sovrumano, con un impatto emotivo pesantissimo. Io sono finita immediatamente sotto ossigeno, con la mascherina, ma per fortuna non ho mai avuto necessità dei caschi Cpap. Ma ho visto tanta gente con la testa infilata in quell’apparecchiatura: ho ancora continuamente nelle orecchie il fischio ininterrotto che subiscono questi pazienti, i loro rantoli. Suoni che mi sono entrati nell’anima, li risento continuamente anche ora, se cerco di dormire».

Tornato l’appetito

Tiziana Negri però riesce comunque a guardare le piccole cose positive, dopo le giornate spaventose in ospedale. «Ma per fortuna, almeno da tre giorni, ho ricominciato a mangiare: in ospedale la mia situazione era complicata anche dal fatto che i farmaci che prendevo in ospedale, sono arrivata a 23 pastiglie al giorno, interferivano con quelli antirigetto che devo assumere da quando sono stata trapiantata. Nausea, vomito, difficoltà respiratorie. per 8 giorni non sono riuscita a mangiare nulla. Ora però voglio sorridere alla vita e incoraggiare tutti. Ho avuto due possibilità di tornare a vivere. E il 12 aprile festeggerò il mio compleanno, temevo non sarebbe accaduto. Sento di dover dire grazie, per tutto questo».

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